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    03/08/09

    USA: le nuove sfide di Obama

    Passati ormai i primi sei mesi di amministrazione Obama, è presto per fare un bilancio ma è arrivato il momento in cui l'entusiasmo e le speranze lasciano il passo alla concretezza.
    Alla riapertura dei lavori congressuali, Obama si troverà a dover affrontare subito le sfide che si è posto in campagna elettorale. E dovrà anche cercare di vincerle subito, perchè nel 2010 si terranno le elezioni di medio termine che riguardano 435 membri della Camera e un terzo dei membri del Senato, e che quindi potrebbero modificare significativamente l'assetto del Congresso se i Repubblicani riuscissero a recuperare alcuni stati "rossi". La situazione è particolarmente delicata al Senato, dove quasi sicuramente i Democratici non riusciranno a mantenere la maggioranza assoluta di 60 membri e si troveranno quindi a dover subire l'ostruzionismo del Gop. Successivamente inizieranno le manovre per le presidenziali 2012, e insomma se Obama vuole portare a buon fine il suo programma, deve farlo nei prossimi 12 mesi.

    Una buona notizia arriva sul fronte della Suprema Corte. La conferma della nomina di Sonia Sotomayor sembra scontata, dopo che la candidata ha superato indenne le audizioni alla Commissione Giustizia del Senato, dove ha ricevuto anche voti dai Repubblicani. Riuscire a far insediare facilmente un giudice alla Corte Suprema senza scandali e ripensamenti rafforza sempre l'immagine del presidente.

    Notizie meno buone riguardano l'economia. Il piano di stimolo di Obama e Geitner ha permesso di rallentare la recessione, e l'economia americana dovrebbe tornare in positivo già dal prossimo bimestre, le banche sono uscite dalla crisi e stanno restituendo i prestiti al governo, e gli incentivi per acquistare auto a basso consumo sono esauriti in tempi record. Purtroppo la disoccupazione continua ad aumentare, e nessuna ripresa economica sarà avvertita nella popolazione fin quando le aziende non riprenderanno ad assumere. Obama lo sa bene ma al momento non può fare altro che attendere l'effetto positivo delle grandi opere annunciate, perchè per il momento sono fuori discussione altri aiuti, anche perchè il restante budget serve per la riforma sanitaria.

    E qui arrivano le dolenti note. Quando Obama aveva promesso la copertura universale della sanità pubblica, la situazione economica americana non era così drammatica. Il presidente non può però rimangiarsi la promessa nè tantomeno rimandarla. Di fatto, su questo si gioca la sua credibilità, e i Repubblicani sono convinti di poter abbattere Obama se abbatteranno il suo piano. Anche tra i Democratici degli stati industriali ci sono perplessità per il piano sanitario che prevede costi enormi da parte del governo federale, che potranno essere sostenuti solo con nuove tasse. Anche se Obama ha assicurato che le imposte riguarderanno solo i redditi altissimi, l'introduzione di nuove tasse fa sempre storcere il naso. Obama ha però insistito sulla riforma, evitando di fare quel passo indietro che gli sarebbe servito per evitare contraccolpi ma che in pratica avrebbe affossato il piano.

    C'è poi il fronte estero. L'amministrazione Obama si è dimostrata poco interventista in Iran e Honduras, e a ragion veduta: in entrambi i casi un intervento diretto avrebbe portato più danni che altro. C'è da completare il ritiro dall'Iraq, dove gli Usa sono rimasti da soli dopo il ritiro di Inghilterra e Australia, e poi c'è l'Afghanistan. Dopo le elezioni del 20 agosto Obama inizierà a pensare a una exit strategy. Il presidente non ha avuto ripensamenti sull'importanza strategica del fronte afghano, ma l'accrescere delle tensioni in Iran e i continui attentati dei talebani spingono per un più rapido passaggio di potere all'autorità di Kabul, con un ruolo più defilato per le truppe americane.

    25/07/09

    Honduras: Zelaya prova a rientrare

    Il presidente deposto dell'Honduras Manuel Zelaya ha provato oggi a forzare la mano rientrando in patria dall'esilio che si sta prolungando da settimane, così come le trattative per arrivare a una soluzione diplomatica che eviti una guerra civile.
    Nel corso della settimana si sono arenati i colloqui guidati dal presidente del Costa Rica Oscar Arias, che aveva proposto un reintegro in carica per Zelaya a patto che rinunciasse alla riforma costituzionale e che approvasse un'amnistia per i golpisti. Il presidente golpisca Micheletti ha però respinto qualsiasi soluzione che preveda un reintegro di Zelaya. Il presidente deposto, forte del consenso internazionale, aveva annunciato che in caso di fallimento delle trattative sarebbe rientrato comunque a Tegucigalpa, e così ha fatto, sia pure in maniera simbolica. Accompagnato da sostenitori e giornalisti, Zelaya è arrivato al posto di confine di Las Manos, tra Nicaragua e Honduras, ha attraversato la linea di demarcazione tra i due stati, rimanendo sul suolo honduregno per qualche minuto per poi riattraversare la frontiera sotto lo sguardo minaccioso delle guardie doganali.
    Nel frattempo, nelle città sono scesi in piazza i suoi sostenitori, tenuti però a distanza dal confine, e anche i sostenitori di Micheletti. Quest'ultimo ha accusato Zelaya di essere irresponsabile e di voler fomentare la guerra civile, minacciandolo di arresto immediato se metterà di nuovo piede in Honduras.
    Gli Usa, sebbene appoggino Zelaya, hanno criticato l'iniziativa di oggi. Hillary Clinton lo ha definito "un atto di imprudenza".

    17/07/09

    Honduras: si tratta per una soluzione

    Fallita la prova di forza del presidente Zelaya, che la settimana scorsa ha provato a rientrare in Honduras fomentando la ribellione dei suoi sostenitori, e svanita anche la possibilità di un intervento diretto degli Stati Uniti, si cerca ora una soluzione diplomatica che ristabilisca lo stato di diritto nello stato centroamericano senza arrivare a uno scontro o peggio, all'intervento armato di altri stati come Venezuela e Nicaragua.
    Il presidente del Costa Rica Oscar Arias (nella foto), già premio Nobel per la Pace, che si sta occupando dei negoziati, porterà domani alla riunione prevista a San Josè una soluzione che preveda il ritorno alla presidenza di Manuel Zelaya - che però rinuncerebbe alla riforma costituzionale per una sua rielezione oltre il secondo mandato - la nascita di un governo di "riconciliazione nazionale" e l'approvazione di un'amnistia per i golpisti.
    Dopo aver ascoltato esponenti dei governi latinoamericani ed europei - tra i quali anche il sottosegretario italiano agli Esteri Vincenzo Scotti -, i responsabili di molte organizzazione internazionali, Onu e Osa (Organizzazione degli stati Americani) in testa, Arias avanzerà “varie proposte” per chiudere la crisi, anche se i due contendenti Zelaya e Micheletti saranno assenti dal summit.
    “Vediamo se è possibile comporre un governo di riconciliazione nazionale in carica poco meno di sette mesi”, ha detto Arias. “Vediamo poi se sarà possibile parlare di una amnistia" ha detto Arias, riferendosi alla precondizione posta da Micheletti per il ritorno di Zelaya. “Il presidente Zelaya - ha poi aggiunto, riferendosi alle riforme costituzionali - credo che dovrà abbandonare la sua pretesa di allestire la ‘quarta urna’ alle prossime elezioni", riforma bocciata dall'alta magistratura honduregna. Qualsiasi soluzione, ha però ribadito Arias, non potrà prescindere dal reintegro di Zelaya al suo posto: “Il ristabilimento dell’ordine costituzionale passa per la restituzione del presidente José Manuel Zelaya”, ha spiegato dopo aver ricordato “che se Micheletti è disposto a rinunciare per consegnare il potere ad altri non è una soluzione”. La preoccupazione del mediatore, già premio Nobel per la pace, è quella di impedire la consolidazione “del governo de facto perché potrebbe essere un incentivo per i militari non solo in questo continente, ma anche in altre regioni del mondo”. Qualsiasi soluzione, ha però ribadito Arias, non potrà prescindere dal reintegro di Zelaya al suo posto: “Il ristabilimento dell’ordine costituzionale passa per la restituzione del presidente José Manuel Zelaya”, ha spiegato dopo aver ricordato “che se Micheletti è disposto a rinunciare per consegnare il potere ad altri non è una soluzione”. La preoccupazione di Arias è quella di impedire la consolidazione “del governo de facto perché potrebbe essere un incentivo per i militari non solo in questo continente, ma anche in altre regioni del mondo”.

    Israele prepara un attacco all'Iran?

    Israele e i governi occidentali stanno lavorando a un accordo che prevede il sostegno di gran parte della comunità internazionale a un attacco israeliano contro le installazioni nucleari iraniane, in cambio di concessioni di Gerusalemme nel negoziato di pace con l'Autorita' Nazionale Palestinese (Anp). Questa è la notizia bomba riportata dal quotidiano "The Times", e accreditata a un ufficiale britannico rimasto anonimo. Tale accordo permetterà in pratica ad Israele di sferrare un attacco contro l'Iran "entro un anno", in cambio di non meglio precisate concessioni ai palestinesi nell'ambito degli accordi per la nascita dello stato di Palestina.
    A conferma di questa notizia, che aprirebbe scenari impensabili nella situazione mediorientale, ma che non è ancora stata commentata da nessun governo occidentale, ci sarebbero le esercitazioni che l'esercito israeliano sta svolgendo nel Cnale di Suez. E' lo stesso articolo sul "Times" a spiegare che gli ultimi test ed esercitazioni militari condotte da Israele in questi giorni rappresentano ''un messaggio all'Iran'' che ''va preso sul serio'' e segnalano un clima di piu' intensa ''preparazione'' verso un possibile attacco contro gli impianti nucleari di Teheran. Lo sostengono fonti del ministero della Difesa israeliano. "Questa è una preparazione che va presa sul serio poichè Israele sta investendo tempo nel preparare se stesso di fronte alla complessità di un attacco all'Iran''. Il riferimento è in particolare alle manovre navali condotte di recente dallo Stato ebraico nel Mar Rosso, dopo l'attraversamento del canale di Suez con un sottomarino e almeno due navi da guerra. Manovre che, secondo la stampa israeliana, sarebbero state coordinate con l'Egitto sulla base dei comuni timori legati ai piani nucleari iraniani. A rafforzare ulteriormente il quadro e' inoltre di ieri sera la notizia della sperimentazione di un nuovo sistema antimissile in Israele che - riferiscono i comandi - si e' rivelato capace per la prima volta di intercettare razzi in volo.
    L'articolo aggiunge anche che Israele ha consolidato i rapporti con quelle nazioni arabe spaventate dal nucleare iraniano, come appunto l'Egitto

    13/07/09

    Ricostruire qualcosa di meglio - L'editoriale di Obama sul WP

    Domenica 12 luglio il "Washington Post" ha ospitato un intervento del presidente Obama. Questa è la traduzione integrale.

    Quasi sei mesi fa, la mia amministrazione è entrata in carica nel mezzo della più grave crisi economica dalla Grande Depressione. In quel momento perdevamo in media 70.000 posti di lavoro al mese. In molti temevano che il nostro sistema finanziario fosse sull'orlo del collasso.
    La rapida e aggressiva azione da noi intrapresa in questi primi mesi ci ha permesso di riportare il nostro sistema finanziario e la nostra economia lontano dal baratro. Abbiamo fatto dei passi per far ripartire i prestiti alle famiglie e le imprese, stabilizzare le maggiori istituzioni finanziarie e aiutare i proprietari di case a pagare i mutui. Abbiamo anche fatto approvare il più radicale piano di recupero economico della nostra storia.
    Sapevamo che The American Recovery and Reinvestment Act non sarebbe bastato da solo a riportare l'economia in piena salute, ma che avrebbe dato l'impulso necessario a frenare la caduta libera. Finora, ha funzionato. Era sin dall'inizio un programma biennale, che continuerà a salvare e crare posti di lavoro in estate e ancora in autunno. Dobbiamo lasciarlo lavorare nel modo in cui è stato pensato, con la consapevolezza che in ogni recessione l'occupazione tende a riprendersi più lentamente di altre attività economiche.
    Sono fiducioso che gli Usa sapranno superare questa tempesta. Ma una volta che avremo ripulito i rottami, la vera questione sarà cosa costruire al loro posto. Anche se salviamo l'economia, insisto nel dire che bisogna ricostuirla meglio di com'era. Perchè se non cogliamo l'attimo per affrontare le debolezze della nostra economia consegneremo noi stessi e i nostri figli a nuove crisi, alla recessione o a entrambi.
    Alcuni ci dicono di aspettare prima di intraprendere le grandi sfide. Preferiscono un approccio graduale pensando che non fare niente sia una soluzione. Ma questa è esattamente la filosofia che ci ha portato a questa situazione. Ignorando le sfide e rimandando le decisioni difficili è ciò che Washington ha fatto per decenni, ed è esattamente ciò che volevo cambiare quando mi sono candidato.
    Adesso è giunto il momento di costruire fondamenta più forti per la crescita, che non solo resistano alle future tempeste, ma che ci aiutino a competere in una economia globale. Per costruire queste fondamenta dobbiamo abbassare i costi delle cure sanitarie che creano debito, creare posti di lavoro entro i nostri confini, dare ai nostri lavoratori le capacità e la formazione adeguata per competere, e prendere le decisioni difficili per abbattere il nostro deficit.
    Stiamo già facendo progressi sulla riforma sanitaria, così come con la legge che ci permetterà di sfruttare l'energia pulita.
    Questa settimana parlerò di come dare ai nostri lavoratori le capacità per competere per questi posti. In un'economia in cui i lavori che richiedono almeno un diploma di college crescono il doppio di quelli che non richiedono titoli di studio, è essenziale continuare gli studi dopo le superiori. E' per questo che ci siamo posti l'obiettivo di portare tutti gli studenti al college entro il 2020. In parte lo faremo aiutando gli americani a potersi permettere l'iscrizione al college. In parte lo faremo rafforzando i college pubblici.
    Crediamo sia il momento di riformare i college pubblici per dare agli americani di tutte le età le abilità e le conoscenze necessarie per poter lavorare in futuro. I college pubblici possono diventare i centri di preparazione al lavoro del 21° secolo, lavorando con le imprese locali per formare le figur professionali di cui c'è richiesta. Possiamo reallocare i fondi per la modernizzazione degli impianti, aumentare la qualità dei corsi on-line e far diplomare 5 milioni di persone in più entro il 2020.
    Fornire agli americani le capacità di competere è un caposaldo di un'ecomia più forte, e, come la sanità e l'energia, non possiamo aspettare. Dobbiamo continuare a sbarazzarci delle macerie della recessione, ma è tempo di costruire qualcosa di meglio. Non sarà facile e ci sarà da prendere decisioni dure che abbiamo rimandato per troppo tempo. Ma le prime generazioni di americani non hanno costruito questo paese con la paura del futuro e limitando i loro sogni. Questa generazione deve dimostrare lo stesso coraggio e determinazione. Credo che ce la faremo.

    © Copyright The Washington Post Company

    12/07/09

    Il giramondo sbarca su Twitter

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    07/07/09

    Honduras: Zelaya cerca l'appoggio degli Usa

    Il presidente esautorato di Honduras Manuel Zelaya, dopo il fallito tentativo di rientrare in patria di domenica, sarà oggi a Washington per incontrare il segretario di Stato Usa Hillary Clinton, al fine di valutare tutte le possibili vie diplomatiche che consentano il suo ritorno al potere dopo il golpe militare che lo ha deposto il 28 giugno scorso.
    Nonostante Zelaya sia inserito in quel gruppo di capi di stato fedeli alla linea anti-americana di Chavez (anche se Zelaya ha fatto sapere di essere un seguace di Lula, e non del presidente venezuelano) gli Usa hanno sempre condannato il golpe ai suoi danni, e la scorsa settimana lo stesso Obama aveva definito illegale l'esautorazione di Zelaya, e aveva detto che accettare il copo di stato sarebbe stato un "terribile precedente".
    Domenica scorsa, alle 17 e 25 del pomeriggio, l'aereo con a bordo Zelaya e alcuni capi di stato sudamericani come la presidente dell'Argentina Cristina Kirchner, ha cercato di atterrare all'aeroporto di Tegucigalpa. Ad accoglierlo, una folla di sostenitori presto allontanati dall'esercito, che come promesso dal presidente golpista Micheletti ha occupato la psita renendo impossibile l'atterraggio di Zelaya.
    Zelaya ha dovuto prendere atto della situazione e ha ordinato al pilota di tornare alla base, dichiarando "Il governo più forte, ossia gli Usa, potranno convivere con un golpista? Obama non può permetterlo. Sono un gruppo di mafiosi. Vogliono appropriarsi della ricchezza nazionale. Mi appello agli Usa che prendano misure immediate contro questo governo. Barbarie e terrore, ecco cosa sta accadendo. Dobbiamo pianificare nei giorni che vengono il mio ritorno in Honduras. Il popolo honduregno è capace di giudicare e si ribellerà contro un governo golpista, come sta già facendo. Questi golpisti lo manterranno nella miseria, senza permettergli partecipazione cittadina. Mi appello all'Oea".
    Il tentativo di rientro è stato accompagnato da violenti scontri in tutto il paese e in particolare nella capitale, dove i militari hanno represso nel sangue le manifestazioni in sostegno di Zelaya e hanno iniziato a sparare sulla folla. Si parla di due morti, ma le notizie non sono confermate. "Hanno ingannato tutto l'Honduras. Ci hanno lasciati passare per poi reprimerci con gas, bombe e spari. Ci sono due morti e molti feriti. E' stata un'imboscata", hanno denunciato in diretta i manifestanti ai microfoni di TeleSur.
    I nuovol governo guidato dal "golpista bergamasco" Roberto Micheletti non sembra intenzionato a negoziare il ritorno di Zelaya e ha finora respinto le soluzioni diplomatiche, nonostante la dura presa di posizione da parte di tutta la comunità internazionale.
    Al contempo, anche i tentativi del governo golpista di riallacciare le relazioni diplomatiche quantomeno con gli altri governi dell'area sono stati respinti al mittente. Micheletti ha provato ad inviare a Washington una delegazione che spiegasse le ragioni di quanto accaduto, ma il governo americano ha rifiutato il confronto non riconoscendo il nuovo governo.
    E nel frattempo il confinante Nicaragua, stato presso cui Zelaya ha trovato rifugio, viene accusato dall'Honduras di aver iniziato ad ammassare le proprie truppe alla frontiera.

    01/07/09

    Honduras: l'incubo dei desaparecidos

    Il golpe in Honduras assume ogni ora di più i connotati tristemente noti dei colpi di stato in America Latina negli anni '70. Dopo la destituzione di Zelaya e la nomina di un nuovo presidente, il nuovo regime honduregno ha preso possesso dei mezzi di comunicazione, che tentano di far passare quanto accaduto per un atto democratico di liberazione. Ciò non basta a frenare la protesta in piazza di ampie fasce della popolazione, ma nel frattempo sulle manifestazioni di dissenso incombe l'ombra di un altro incubo tristemente noto dei golpe sudamericani, quello dei desaparecidos.
    A farne le spese sarebbe stato il disegnatore Allan Mcdonald, il più famoso vignettista dell'Honduras nonchè sostenitore del presidente destituito Zelaya. Nella mancanza di notizie sulla sorte di Mcdonald l'unica notizia arriva da un'amica del disegnatore, che racconta in una mail:
    "Mi chiamo Verenice Bengtsson, sono una cittadina di nazionalità costaricana e hondurena, e risiedo in Svezia. Voglio denunciare e diffondere che oggi (lunedì 29 giugno ndr.) via chat alle 11 ora svedese, le 3 di notte in Honduras, Allan Mcdonald, il caricaturista più famoso del paese, che non ha nascosto il suo entusiasmo per il referendum costituzionale, è riuscito a mettersi in contatto con me per dirmi che è stato sequestrato e arrestato dalle forze armate. Con lui la figlia Abril, di 17 mesi".
    Per fortuna le pressioni internazionali hanno portato ad una rapida liberazione di Mcdonald e di sua figlia. "Vi ringraziamo per la solidarietà e il vostro lavoro. Allan e sua figlia sono stati liberati ieri, sani e salvi. Allan lo attribuisce alla immediata denuncia di tutti voi e alla risposta degli organismi come Amnesty Internacional e della Chiesa cattolica. Manteniamoci comunque in allerta, perché la situazione in Honduras è ogni giorno più grave" scrive ancora l'amica.
    Mcdonald non è stato però l'unico arrestato nella notte del golpe, come lui anche il Console della repubblica venezuelana e due donne, una spagnola e l'altra cilena, sono stati prelevati, seguendo una lista che evidentemente i golpisti avevano preparato da tempo. Di loro non si hanno più notizie. I desaparecidos sono già molti, difficile stilare un bilancio, tutto è ancora in divenire. "Sembra di essere tornati agli anni Ottanta, in pieno disprezzo dei diritti umani con Parlamento e Corte suprema di giustizia che confabulano sostenendo a vicenda il golpe, violentando i diritti fondamentali della maggiroanza del popolo. Purtroppo, questo golpe riflette la poca vocazione democratica della nostra classe dirigente", spiega Verenice.
    Intanto Zelaya ha annunciato l'imminente ritorno in Honduras, fissando la data per giovedì, ma dopo aver partecipato alla riunione straordinaria delle Nazioni Unite ha accettato di seguire le scadenze previste dall'assemblea, che hanno dato tempo fino a sabato all'Honduras per reintegrare Zelaya in carica. Il ritorno di Zelaya è a questo punto fissato per sabato, e ad accompagnarlo ci dovrebbe essere il presidente dell'Organizzazione degli Stati Americani Miguel Insulza.