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    29/06/09

    Honduras: caos dopo il colpo di stato

    A più di un giorno dal colpo di stato che ha portato all'esautorazione e all'arresto del presidente dell'Honduras Manuel Zelaya si chiarisce il quadro politico del golpe ma non si calma la fibrillante situazione dello stato centroamericano.
    La Corte Suprema dell'Honduras ha dichiarato che l'esercito ha arrestato Zelaya seguendo proprio un ordine della Corte, che aveva accusato il presidente di aver violato la Costituzione. Questo chiarimento, teso a escludere che si sia trattato di un golpe militare, non ha però calmato le acque. Migliaia di simpatizzanti del capo dello Stato honduregno destituito si trovano tuttora davanti alla residenza presidenziale a Tegucigalpa, per protestare contro i militari golpisti. Tra i manifestanti spiccano contadini, studenti, operai, organizzazioni sociali ed indigeni, ovvero lo zoccolo duro dei sostenitori di Zelaya.
    Proprio ieri si sarebbe dovuto tenere in Honduras un referendum attraverso cui Zelaya intendeva modificare la Costituzione e rendere così possibile un'estensione del mandato presidenziale quadriennale e una sua rielezione. La Corte Suprema aveva espresso parere contrario al referendum, ma il presidente aveva proseguito per la sua strada seguendo l'esempio del leader venezuelano Hugo Chavez, che di Zelaya è stato alleato e ispiratore.
    E proprio Chavez ha espresso solidarietà ai sostenitori di Zelaya, promettendo aiuto "Se le oligarchie violano le regole del gioco come hanno fatto, il popolo ha diritto di resistere e combattere, e noi siamo con loro", e più tardi si è spinto ancora più in là minacciando di invadere l'Honduras se dovessero essere sferrati attacchi contro l'ambasciata venezuelana in Honduras.
    Il nuovo capo di stato dell'Honduras, il presidente del Congresso Roberto Micheletti, ha respinto le minacce di Chavez "Vedo con molta preoccupazione quello che dice Chavez senza riflettere, che non venga a minacciarci", ha ammonito Micheletti, aggiungendo di essere "totalmente sicuro del nostro esercito, che è pronto ad intervenire".
    Le notizie sono frammentarie, ma nella notte sono proseguiti gli scontri nonostante il coprifuoco, e da più fonti si parla dell'assassinio del leader popolare Cesar Ham, alleato di Zelaya, ucciso a quanto pare per aver resistito all'arresto.
    Oggi si riunisce in via straordinaria il consiglio di sicurezza dell'Onu, a seguito della preoccupazione espressa da Barack Obama e Hillary Clinton, mentre Zelaya, rifugiatosi in Nicaragua, incontrerà presto gli altri capi di stato dell'America Latina per cercare alleanze. Dall'Honduras si fa sapere che sono confermate le elezioni presidenziali per il 29 novembre.

    22/06/09

    L'Iran e il fattore Obama

    di Helene Cooper (New York Times)

    "Non vogliamo che il regime cada. Vogliamo che i nostri voti contino, perchè vogliamo riforme, vogliamo nuovi rapporti con il mondo" - Ali Reza, attore iraniano, a margine delle proteste a Teheran.
    C'è davvero un effetto Obama, per quando invisibile? Mentre a Teheran continuano le proteste, a Washington ci si interroga. Da un lato una manciata di sostenitori di Bush ritiene che i manifestanti iraniani siano stati galvanizzati dall'impegno dell'ex presidente Usa a favore del diffondersi della democrazia, seguendo l'esempio della nuova democrazia sciita in Iraq. Dall'altro lato, i sostenitori del presidente Obama ritengono che la semplice elezione del nuovo presidente americano abbia dato il via alla richiesta di cambiamento in Iran.
    Entrambe queste scuole di pensiero danno agli Usa un ruolo importante come epicentro di una vicenda in divenire, che per molti esperti non riguarda affatto l'America.
    "Dobbiamo essere umili e capire cosa sta succedendo in Iran" ha affermato Nicholas Burns, sottosegretario di Stato nell'amministrazione Bush "C'è stata una rabbia montante contro Ahmadinejad in questi anni".
    Ma c'è qualcos'altro: la voglia di molti iraniani di stabilire nuovi rapporti con il resto del mondo. Questo è risultato evidente nelle manifestazioni in favore di Mir Hussein Moussavi, sotto lo slogan "Un nuovo saluto al mondo".
    "Molti funzionari iraniani hanno capito che la politica di "Morte all'America" della rivoluzione del 1979 ormai è agli sgoccioli, e che l'Iran non potrà esprimere tutto il suo potenziale finchè rimarrà cotnrapposto agli Usa" spiega Karim Sadjapour, del Carnegie Endowment for International Peace. "Se gli estremisti al governo iraniano sono incapaci di avere relazioni amichevoli con un presidente americano che si chiama Barack Hussein Obama, che predica il rispetto reciproco e fa gli auguri per la festa del Nowruz, è chiaro che il problema è a Teheran, non a Washington."
    Durante gli anni di Bush, il regime Iraniano ha avuto gioco facile nel coalizzare il popolo contro un nemico comune, il presidente Bush, che definì l'Iran una "colonna dell'asse del male" in un discorso che alienò i consensi di molti riformisti a cui Washington stava strizzando l'occhio. Come risultato, gli iraniani misero da parte le critiche verso il proprio governo per unirsi contro il nemico comune. I riformisti iraniani chiesero agli Usa di smettere di sostenerli apertamente, perchè questo li screditava.
    Obama sembra aver preso sul serio quel consiglio - anche troppo, secondo alcuni Democratici. Le sue dichiarazioni sulla situazione in Iran sono state così distaccate e vaghe che i Repubblicani lo hanno subito accusato di non avere abbastanza a cuore la difesa della democrazia.
    D'altro canto, però Obama ha già messo in gioco un elemento che i riformisti possono usare nel loro dibattito interno, ovvero la consapevolezza che questo è il momento migliore per cercare nuove relazioni con l'America.[...]
    La risposta di Khamenei e Ahmadinejad alle aperture di Obama è stata il silenzio. Afshin Molavi, esperto della New America Foundation, afferma che la stragrande maggioranza degli iraniani vorrebbe avere migliori rapporti con gli Usa, e in particolare la classe media. Anche se Moussavi condivide il programma nucleare di Ahmadinejad, il ceto medio iraniano lo ritiene più adatto a stringere relazioni migliori con gli Stati Uniti.
    Nella sua campagna elettorale, Moussavi ha fatto sue molte tattiche di Obama. Ha promesso un ripristino dei rapporti con gli Usa, ha usato poster di lui e sua moglie e ha assunto giovani consiglieri che avevano studiato la campagna di Obama. Ha anche usato i social network di Internet, gli stessi mezzi che i sostenitori hanno usato dopo le elezioni per promuovere le loro proteste.

    Copyright 2009 The New York Times Company

    17/06/09

    Iran: e dopo le proteste?

    Mentre le rivolte e le proteste per i risultati elettorali non accennano a finire, i commentatori si interrogano sul futuro dell'Iran. Il movimento, perlopiù non organizzato, sviluppatosi in campagna elettorale attorno a Moussavi anzichè essere spazzato via dalla repressione del regime ha dimostrato una propria forza, con cui il governo di Teheran si trova a dover fare i conti. Si tratta della più grande manifestazione di protesta dai tempi della rivoluzione islamica, e per la prima volta il regime non riesce a contenere la fuoriuscita di notizie - anche grazie ai nuovi media e in particolare a Twitter. Poche speranze vengono riposte nella riconta dei voti, sia perchè il compito è affidato al Consiglio dei Guardini, nominati da Khamenei, sia perchè per votare bisognava crivere “4” sulla scheda, per Ahmadinejad “44”, e sarà quindi impossibile stabilire se le schede sono state truccate. Anche se la repressione dovesse fare il suo corso, quanto sta accadendo in questi giorni potrà minare le fondamenta del regime degli ayatollah, che negli ultimi quattro anni ha trovato un equilibrio perfetto con l'alleanza tra il presidente Ahmadinejad e la guida suprema Ali Khamenei. Per una guida alle cariche iraniane suggerisco l'esaustivo articolo de La stampa.
    Anche se Khamenei ha un potere pressochè assoluto sulle forze armate, sui media e sulla Giustizia, deve fare i conti con un (unico) contrappeso, rappresentato dall'Assemblea degli Esperti, un organismo di 86 religiosi che hanno il potere di nominare la Guida Suprema e anche quello di revocare il mandato, che altrimenti è a vita. Capo degli Esperti è l'ex presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, rivale storico di Khamenei. Rafsanjani contese a Khamenei il titolo di Guida Suprema alla morte di Khomeini, e durante i due mandati da presidente negli anni '90 provò a contrastare il conservatorismo radicale della Guida Suprema tentando un blando piano riformista. Nel 2005 Rafsanjani venne sconfitto da Ahmadinejad e anche in quel caso si parlò di brogli. Anche se sembra difficile che il Consiglio possa revocare il mandato di Khamenei, in molti fanno notare che sotto le battaglie politiche ci sono molti interessi economici (Khamenei e Rafsanjani sono tra gli uomini più ricchi dell'Iran), e questo potrebbe smuovere gli ayatollah più della religione e della politica, visto che l'intransigenza di Khamanei e Ahmadinejad sta creando grossi danni negli affari iraniani con gli investitori stranieri.
    Quello in atto dunque sarebbe uno scontro di potere tra due caste, quella dei sacerdoti e quella dei militari, ed in gioco ci sarebbe la natura stessa della dittatura. Da una parte i "riformisti" Rafsanjani, Khatami e Moussavi; dall'altra, la Guida Suprema Khamenei, che avrebbe deciso di servirsi di Ahmadinejad e delle forze militari e di sicurezza a lui fedeli, per liberarsi degli avversari all'interno del clero sciita.
    Il fatto che un esponente di spicco come Ali Larijiani, presidente del Parlamento iraniano, nonché ex negoziatore nucleare e alleato di Ahmadinejad, abbia pubblicamente preso le distanze da Khamenei fa pensare che si stia candidando per un eventuale successione come Guida Suprema.

    14/06/09

    Iran: Moussavi è libero e chiede nuove elezioni

    Si sono rivelate infondate le voci che volevano Mir Hossein Moussavi agli arresti dopo la fine delle elezioni. Il principale oppositore di Ahmadinejad è libero, al contrario di molti esponenti politici vicini all'ex presidente Khatami, arrestati oggi dall'esercito, così come quasi duecento manifestanti scesi in piazza in questi giorni.
    Moussavi ha incitato i suoi sostenitori a proseguire una "civile" protesta e ha intimato alla polizia di fermare le violenze contro i manifestanti. Moussavi ha poi annunciato di aver presentato al Consiglio dei guardiani una richiesta per annullare i risultati dell’elezione, a causa dei brogli. Moussavi ha affermato che solo l'annullamento delle elezioni potrà ristabilire la fiducia del popolo nei confronti del governo.
    Intanto domenica è arrivata la prima presa di posizione ufficiale degli USA nei confronti delle elezioni iraniane. Il vicepresidente Joe Biden, intervistato a "Meet the press", ha affermato di avere una "spaventosa mole di dubbi". "C'e' una spaventosa mole di domande in sospeso riguardo al modo con cui sono state gestire queste elezioni" ha detto Biden alla Nbc, aggiungendo però che gli Stati Uniti e gli altri paesi hanno bisogno di più tempo per analizzare i risultati e dare un giudizio definitivo.

    13/06/09

    Iran nel caos: Moussavi arrestato?

    Dopo la proclamazione della vittoria di Ahmadinejad nelle elezioni iraniane le strade di Teheran si sono riempite di manifestanti, sostenitori di Moussavi e convinti che l'attuale presidente abbia alterato il risultato elettorale con l'aiuto dei pasdaran e con il tacito consenso dell'ayatollah Khamenei.
    Poco dopo il discorso con cui Ahmadinejad ha ufficializzato la propria rielezioni - con il 62,23% dei voti contro il 33,75 di Moussavi - le proteste nelle strade, sempre più violente, sono state sedate nel sangue dall'intervento della polizia.
    La vittoria di Ahmadinejad, scrive il "New York Times", è stata uno shock per l'opposizione, che aveva sperato in un risultato ben diverso dopo che i sondaggi davano a Moussavi un ampio margine di vantaggio.
    Al momento la situazione nella capitale iraniana è confusa sotto il punto di vista delle comunicazioni: i collegamenti internet sono rallentati e quasi bloccati, i cellulari sono inutilizzabili e le notizie che filtrano all'esterno, anche da parte degli inviati stranieri, sono pochissime. Tra le notizie tutte da verificare c'è quella, rilanciata dalla stampa stanutitense, secondo cui Moussavi sarebbe stato messo agli arresti, presumibilmente con l'accusa di aver fomentato gli scontri.
    Moussavi, prima del blackout delle comunicazioni, aveva rivolto un appello per evitare che l'Iran cada nella tirannide. Un appello che all'occidente può sembrare paradossale, visto che l'ex Persia è tutt'altro che una democrazia, ma che sta a significare che in queste ore stiamo probabilmente assistendo ad un cambiamento epocale nel livello di dittatura dell'Iran, che fino ad ora è stata una repubblica islamica in cui la figura dell'ayatollah è al di sopra delle leggi ed ha diritto di veto su ogni decisione del governo, ma la rappresentatività del popolo è sempre stata riconosciuta tramite elezioni, per quanto "pilotate" (i candidati vengono selezionati in base all'aderenza ai principi della repubblica islamica).

    12/06/09

    Iran: è già scontro sui risultati

    http://markhalperin.files.wordpress.com/2009/06/mousaviahmadinejad.jpg
    Neanche il tempo di chiudere i seggi (con ore di ritardo a causa della folla di elettori presentatasi alle urne) e già in Iran si litiga su chi ha vinto le presidenziali.
    Lo sfidante Mirhossein Mousavi ha indetto una conferenza stampa poco dopo la chiusura delle urne annunciando di essere il "vincitore certo" delle elezioni con circa il 65% dei voti, e ha anche denunciato irregolarità nelle operazioni, con i suoi rappresentanti tenuti fuori dai seggi. Mentre dagli Usa la Casa Bianca diramava una nota in cui Barack Obama esprimeva speranza di un cambiamento in Iran, l'agenzia stampa iraniana Irna ha diramato un comunicato in cui si dichiara che, con il 20% di schede scrutinate, Ahmadinejad ha il 69% dei voti, contro il 28% di Mousavi. Questo dato, anche se ufficiale, non può non destare sospetti, non solo perchè è molto diverso dalle aspettative di voto (l'alta affluenza è vista unanimemente come favorevole allo sfidante) ma soprattutto perchè le prime sezioni ad essere scrutinate sono state quelle delle zone metropolitane, in cui tradizionalmente Ahmadinejad è meno forte.

    11/06/09

    Iran alle urne

    Si è chiusa una campagna elettorale tra le più dure della breve storia della repubblica islamica dell'Iran. Attacchi duri fra i candidati, cui si è aggiunta una inedita polemica fra due colonne storiche del regime: l'ex presidente Akbar Rafsanjani e l'ayatollah Ali Khamenei. Le piazze sono invase da sostenitori di Ahmadinejad, che corre per un secondo mandato, e del suo piu' temibile avversario, il conservatore moderato Mir Hossein Mussavi.
    Finora tutti i presidenti iraniani presentatisi per un secondo mandato sono stati rieletti, ma Ahmadinejad rischia seriamente di interrompere la tradizione. Può ancora contare sui suoi fedelissimi - essenzialmente le vaste popolazioni delle zone rurali - ma deve fare i conti con una montante opposizione da parte dei giovani, degli studenti universitari e delle popolazioni delle zone metropolitane. Gli oppositori del regime, finora numerosi ma disorganizzati, si sono coalizzati attorno alla figura di Mir-Hussein Moussavi (foto), 67 anni, conservatore moderato e ultimo primo ministro della repubblica islamica prima che la carica venisse abolita nel 1989. E proprio dal 1989 Moussavi è assente dalla scena politica, anche se è stato l'artefice della prima elezione nel 1997 del suo braccio destro Mohammad Khatami. Nel 2005 rifiutò di presentarsi contro Ahmadinejad, ma quest'anno è riuscito a mettere in piedi un'organizzazione "dal basso" con un programma riformista e "di sinistra" (ma comunque all'interno della formula di stato religioso). Ha schierato in campo, fenomeno mai visto prima in Iran, sua moglie Zahra Rahnavard, artista capace di diventare l'unica donna rettore universitario del Paese. Tanta gente è scesa in piazza per sostenerlo, facendo parlare alcuni di una sorta di 'effetto Obama' in Iran.
    Circa 45mila urne verranno aperte il 12 giugno ai 46 milioni di aventi diritto al voto, dalle otto del mattino fino alle sei di questa sera. Se nessuno dei quattro candidati otterrà al primo turno la maggioranza assoluta dei voti, si terrà il ballottaggio tra i primi due candidati il 19 giugno prossimo.
    Un altro candidato con qualche chance è Moshen Rezaei, militarefino al 1997 e stretto collaboratore dell'ayatollah Khomeini, che rappresenta l'opposizione "di destra" a Ahmadinejad, una destra pragmatica che vorrebbe eliminare l'attuale presidente reo, con le sue esternazioni in politica estera, di allontanare investitori e businnes. Il quarto tra i maggiori candidati è Mehdi Karroubi, altro riformista, arrivato terzo alle elezioni di 4 anni fa ma ora schiacciato dalla figura di Moussavi. Proprio la contemporanea candidatura di due importanti esponenti potrebbe però spaccare il fronte riformista favorendo Ahmadinejad. E intanto il capo dei pasdaran, i guardiani della rivoluzione vicini al presidente, ha affermato che "Sara' stroncato sul nascere ogni tentativo di provocare in Iran una rivoluzione di velluto".

    09/06/09

    Libano: maggioranza assoluta ai filo-occidentali

    Al termine dello spoglio per le elezioni in Libano, i risultati ufficiali confermano la netta vittoria del blocco filo-occidentale ed anti-siriano capeggiato da Saad Hariri, che molto probabilmente diventerà il prossimo premier.
    I risultati mostrano che la coalizione a guida sunnita capeggiata da Saad Hariri ha ottenuto 71 seggi su 128 in parlamento contro i 57 dell'Alleanza di Hezbollah. Baroud si e' detto soddisfatto riguardo allo svolgimento delle consultazioni nonostante alcuni problemi riscontrati nell'organizzazione. Numerose sono state anche le irregolarità riscontrate durante le elezioni, compreso l'acquisto di voti e la violazione del silenzio stampa da parte dei media. Lo ha denunciato la Lebanese Transparency Association (Lta) che ha monitorato le elezioni con 2500 osservatori in tutto il Paese. Dal rapporto finale emerge che il 21% degli elettori ha dichiarato di aver subito pressioni nella scelta del voto da parte di rappresentati e volontari dei partiti presenti ai seggi. Inoltre sono stati numerosi i casi di aggressioni, verbali e fisiche, scoppiate tra elettori, membri dei diversi partiti ed esercito.
    Il risultato del voto è un duro colpo per Siria e Iran, che sostengono Hezbollah, e una buona notizia per Usa, Arabia Saudita ed Egitto, che appoggiano invece il blocco "14 Marzo", che prende il suo nome dall'enorme manifestazione del 2005 contro la presenza militare siriana.
    ''La nostra speranza e' che il prossimo governo continui sulla strada delle costruzione di un Libano sovrano, indipendente e stabile'' ha commentato il presidente Usa Barack Obama ''C'è un solo standard da seguire per coloro che detengono il potere. Bisogna governare con il consenso e non con la coercizione''.
    Il 39enne Hariri, figlio dell'ex premier Rafik ucciso in un attentato nel 2005 ha dichiarato subito dopo il voto "Non ci sono né vincitori, né vinti. Ha vinto il Libano" e si è detto pronto al dialogo con hezbollah, i grandi sconfitti di queste elezioni, anche a causa della sconfitta del cristiano Michel Aoun, loro alleato, in due importanti circoscrizioni elettorali.
    Pur ammettendo la sconfitta elettorale della sua coalizione, Hezbollah difende la resistenza libanese, definendola “una scelta popolare” che ha trovato riprova nelle urne.
    “Accettiamo i risultati ufficiali con fair-play e in maniera democratica”, ha detto il segretario generale del movimento sciita, Hassan Nasrallah, precisando che "la scelta delle resistenza non è la scelta di un gruppo armato, ma una scelta popolare confermata dal voto".

    08/06/09

    Elezioni europee: i risultati

    Austria
    Ovp (Partito popolare): 29,7% - 6 seggi
    Spo (Socialdemocratici): 23,8% - 5 seggi
    Martin (Euroscettici): 17,9% - 3 seggi
    Fpo Partito della libertà (Nazionalisti): 13,1% - 2 seggi
    Ovp: 9,5% - 1 seggio

    Belgio
    CVD (Democratici cristiani fiamminghi): 15,13%
    VLD (Democratici liberali fiamminghi): 13,02%
    VB (Interesse fiammingo): 10,28
    PS (Partito socialista vallone): 10,19%
    MR (Movimento riformista vallone): 9,14%
    SPA/Spirit (Alternativa sociale fiamminga): 8,53%
    Ecolo (Verdi valloni): 8,1%
    NVA (Nuova alleanza fiamminga): 6,4%

    Bulgaria
    GERB (Popolari): 24,5% - 5 seggi
    BSP (Socialisti): 18,6% - 4 seggi
    DPS (Diritti e libertà): 14,2 - 2 seggi
    NUA (Euroscettici): 11,3% - 2 seggi
    NDSV (Movimento nazionale Simeone II): 8% - 2 seggi
    SDS-DSB (Riformisti): 8% - 1 seggio

    Repubblica Ceca
    ODS (Partito Democratico civico): 31,5% - 9 seggi
    CSSD (Socialisti): 22,4% - 7 seggi
    KSCM (Comunisti): 14,2% - 4 seggi
    KDU-CSL (Democratici cristiani): 7,6% - 2 seggi

    Danimarca
    A (Socialdemocratici): 20,9% - 4 seggi
    V (Sinista liberale): 19,6% - 3 seggi
    F (Socialisti popolari): 15,4% - 2 seggi
    O (Partito del popolo): 14,8% - 2 seggi
    C (Conservatori): 12,3% - 1 seggio
    N (Euroscettici): 7% - 1 seggio

    Finlandia
    Kok (Popolari): 23,2% - 3 seggi
    SK (Liberaldemocratici): 19% - 2 seggi
    Sdp (Socialdemocratici): 17,5% - 2 seggi
    PS-KD (Popolari): 14% - 2 seggi
    Vhr (Verdi): 12,4% -2 seggi
    SFP (Popolari): 6,1% - 1 seggio

    Germania
    CDU (Cristiano democratici): 30,7% - 34 seggi
    SPD (Socialisti): 20,8% - 23 seggi
    Grune (Verdi): 12,1% - 14 seggi
    FPD (Liberali): 11% - 12 seggi
    Die linke (Comunisti): 7,5% - 8 seggi
    CSU (Cristiano sociali): 7,2% - 8 seggi

    Estonia
    KE (Popolari): 26,1% - 2 seggi
    I. Tarand (Indipendenti di sinistra): 25,8% - 1 seggio
    ER (Riformatori): 15,3% - 1 seggio
    IRL (Nazionalisti): 12,2% - 1 seggio
    SDE (Socialdemocratici): 8,7% - 1 seggio

    Irlanda
    Fin Gael (Democratici): 29,1% - 4 seggi
    Fianna Fail (Popolari): 24,1% - 3 seggi
    Laburisti: 13,9% - 2 seggi
    Indipendentisti: 11,4% - 1 seggio
    Sinn Fein (Sinistra): 11,2% - 1 seggio

    Grecia
    Pasok (Socialisti): 36,2% - 9 seggi
    ND (Democratici): 34% - 7 seggi
    KKE (Comunisti): 7,8%- 3 seggi
    LAOS (Popolari ortodossi): 7% - 2 seggi
    OP (Verdi): 3,5% - 1 seggio

    Spagna
    PP (Popolari): 42,2% - 23 seggi
    Psoe (Socialisti): 38,5% - 21 seggi
    Cpe (Europeisti liberaldemocratici): 5,1% - 2 seggi
    IU-ICV-EUIA-BA (Verdi): 3,7% - 2 seggi
    UPD (Democratici): 2,9% - 1 seggio

    Francia
    UMP (Popolari): 28% - 30 seggi
    PSE (Socialisti): 16,8% - 14 seggi
    Europe Ecologie (Verdi): 16,2% - 14 seggi
    MoDem (Democratici): 8,5% - 6 seggi
    Fronte Nazionale: 6,5% - 3 seggi
    FG (Comunisti): 6,3% - 4 seggi

    Italia
    Popolo della libertà: 35,3% - 29 seggi
    Partito Democratico: 26,1% - 22 seggi
    Lega Nord: 10,2% - 9 seggi
    Italia dei valori: 8% - 7 seggi
    Unione di centro: 6,5% - 5 seggi

    Cipro
    Disy (Democratici): 35,7% - 2 seggi
    Akel (Progressisti): 34,9% - 2 seggi
    DiKo (Democratici): 12,3% - 1 seggio
    Edek (Socialdemocratici): 9,9% - 1 seggio

    Lettonia
    PS (Nazionalisti): 24,3% - 2 seggi
    SC (Centristi): 19,5% - 2 seggi
    Pctvi (Verdi): 9,6% - 1 seggio
    Lpp/Lc (Democratici e liberali): 7,5% - 1 seggio
    TB/LNKK (Euroscettici): 7,5% - 1 seggio
    JI (Popolari): 6,7% - 1 seggio

    Lituania
    Ts-Lkd (Conservatori): 26,8% - 4 seggi
    Lspd (Socialdemocratici): 18,6% - 3 seggi
    TT (Nazionalisti): 12,2% - 2 seggi
    DP (Laburisti): 8,8% - 1 seggio
    LLRA (Partito della minoranza polacca): 8,5% - 1 seggio
    LRLS (Liberali): 7,3% - 1 seggio

    Lussemburgo
    CSV (Cristiano sociali): 31,3% -3 seggi
    Lsap (Socialisti): 19,4% - 1 seggio
    DP (Democratici): 18,7% - 1 seggio
    Dei Greng (Verdi): 16,8% - 1 seggio

    Ungheria
    Fidesz-Kdnp (Popolari): 56,4% - 14 seggi
    Mszp (Socialisti): 17,4% - 4 seggi
    Jobbink (Nazionalisti): 14,8% - 3 seggi
    Mdf (Popolari): 5,3% - 1 seggio

    Malta
    PL-Mlp (Laburisti): 55% - 3 seggi
    PN (Popolari): 40,5% - 2 seggi

    Olanda
    Cda (Cristiano democratici): 19,9% - 5 seggi
    Pvv (Nazionalisti): 17% - 4 seggi
    Pvda (Socialisti): 12,1% - 3 seggi
    Vvd (Nazionalisti): 11,4% - 3 seggi
    Democratici 66: 11,3% - 3 seggi
    Groenlinks (Verdi): 8,9% - 3 seggi
    SP (Socialisti): 7,1% - 2 seggi
    Cu-Sgp (Liberaldemocratici): 6,9% - 2 seggi

    Polonia
    PO (Popolari): 44,4% - 25 seggi
    PIS (Nazionalisti): 27,4% - 15 seggi
    SLD - Up (Socialisti): 12,3% - 7 seggi
    Psl (Popolari): 7% - 3 seggi

    Portogallo
    PPD/PSD (Popolari e socialdemocratici): 31,7% - 8 seggi
    PS (Socialisti): 26,6% - 7 seggi
    Be (Comunisti): 10,7% - 3 seggi
    CDU (Sinistra): 10,7% - 2 seggi
    CDS-PP (Popolari): 8,4% - 2 seggi

    Regno Unito
    Conservatori: 27% - 25 seggi
    Ukip (Indipendentisti): 16,1% - 13 seggi
    Laburisti: 15,3% - 13 seggi
    Liberaldemocratici: 13,4% - 11 seggi
    Verdi: 8,4% - 2 seggi
    Bnp (Nazionalisti): 6% - 2 seggi
    Snp (Nazionalisti scozzesi): 2% - 2 seggi
    EngDem: 1,8% - 1 seggio
    No2Eu (Euroscettici): 1% - 1 seggio
    PLAID: 0,8% - 1 seggio

    Romania
    Psd-Pc (Socialisti): 30,8% - 11 seggi
    Pd-L (Popolari): 29,85 - 10 seggi
    Pnl (Liberaldemocratici): 14,5% - 5 seggi
    Udmr (Popolari): 9,1% - 3 seggi
    Prm (Nazionalisti): 8,7% - 3 seggi
    Lista Elena Basescu: 4,2% - 1 seggio

    Slovacchia
    Smer (Socialisti): 32% - 5 seggi
    SDKU (Popolari): 17% - 2 seggi
    SMK - MPK (Popolari): 11,3% - 2 seggi
    KDH (Popolari) : 11% - 2 seggi
    HZDS (Liberaldemocratici): 9% - 1 seggio
    Sns (Popolari): 5,6% - 1 seggio

    Slovenia
    SDS (Popolari): 26,9% - 2 seggi
    SD (Socialdemocratici): 18,5% - 2 seggi
    N.Si (Nazionalisti): 16,3% - 1 seggio
    Lds (Liberaldemocratici): 11,5% - 1 seggio
    Zares (Nazionalisti): 9,8% - 1 seggio

    Svezia
    Sap (Socialisti): 24,6% - 5 seggi
    M (Popolari): 18,8% - 4 seggi
    FP (Liberaldemocratici): 13,6% - 3 seggi
    MP (Verdi): 10,8% - 2 seggi
    Partito pirata: 7,1% - 1 seggio
    V (Socialisti): 5,6% - 1 seggio
    C (Liberaldemocratici): 5,5% - 1 seggio
    Kd (Cristiano democratici): 4,7% - 1 seggio

    03/06/09

    Israele accusa: Venezuela e Bolivia alleati dell'Iran

    Il Venezuela e la Bolivia starebbero rifornendo l’Iran di uranio per il suo programma nucleare, secondo quanto afferma un rapporto segreto del governo israeliano diffuso dalla Associated Press.
    La denuncia, se confermata, metterebbe in luce un quadro di alleanze molto complesso e radicato, arrivando a ipotizzare una rete di stati guidati da ideologie diverse ma unite dall'odio per l'imperialismo americano. Ci sono però molti dubbi sulla fondatezza di queste informazioni, a partire dal fatto che il rapporto è stato commissionato dall'attuale governo israeliano, e per la precisione dal ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, con lo specifico scopo di rendere difficoltose le trattative diplomatiche aperte dalla nuova amministrazione Usa con Teheran e con Caracas.
    L'alleanza tra i tre paesi avrebbe uno scopo preciso, a detta di Israele Nel rapporto si riferisce di "informazioni in base alle quali il Venezuela fornisce uranio all'Iran", nel quadro della politica di forte avvicinamento tra Caracas e Teheran promossa dal presidente Chavez. Una politica per cui Chavez starebbe "contribuendo a coinvolgere la Bolivia, anch'essa come fornitrice di uranio".
    Non solo, ma l'alleanza arriverebbe anche in Libano. Chavez starebbe infatti appoggiando il movimento libanese Hezbollah che, da anni, è presente con sue cellule in tutto il Sud America. In base alle informazioni raccolte dal ministero degli Esteri di Israele la cooperazione è cresciuta negli ultimi mesi, ma non è chiaro se l’uranio provenga dalle riserve dei due paesi o sia frutto di una triangolazione.
    L'opposizione venezuelana supporta le tesi israeliane, sostenendo che Chavez avrebbe affidato a consiglieri mediorientali – forse iraniani e libanesi – il compito di addestrare una milizia speciale segreta. Secondo il documento inoltre, Caracas starebbe aiutando l'Iran a eludere le sanzioni imposte dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu. "Le relazioni fra Venezuela e Iran sono particolarmente strette" dice ancora la documentazione israeliana che continua: "Caracas aiuta Teheran a schivare le sanzioni concedendo salvacondotti di viaggio a cittadini iraniani, permettendo loro di spostarsi con la più totale impunità in tutti gli Stati dell'America Latina". Il rapporto afferma che appoggiando l’Iran il presidente venezuelano Hugo Chavez sta cercando di indebolire la politica del presidente degli Stati Uniti Barack Obama, il quale vorrebbe migliorare diplomaticamente i rapporti con Teheran.
    Il ministro degli esteri boliviano Luis Alberto Echazu ha smentito le accuse contenute nel rapporto del governo israeliano, affermando che nel Paese non esistono giacimenti di uranio e che quindi tantomeno può esportarlo. Echazù è stato anche più categorico sottolineando che la Bolivia non ha mai prodotto, e per il momento non ha intenzione di produrre uranio.
    Nessuna dichiarazione è invece pervenuta dal governo venezuelano.