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    31/03/09

    Europa - Domenica di elezioni: i risultati

    E' stata una domenica elettorale in due Stati europei, e in un territorio africano che però appartiene alla Francia.
    Le consultazioni più importanti sono state tenute in Turchia, dove in una sorta di Election Day si sono svolte le elezioni amministrative che sono servite a tastare il polso della popolazione nei riguardi del governo Erdogan. Il premier in carica sperava di migliorare il risultato delle politiche del 2007, quando aveva raggiunto il 46,65%, avvicinandosi così alla maggioranza assoluta dell'elettorato.
    Non è stato così, e anche se lo spoglio dei risultati è andato molto a rilento sembra proprio che il partito islamico moderato guidato da Erdogan, l'Akp, è al 40,16 per cento con il 97 per cento delle schede scrutinate. Un risultato inferiore di circa sette punti rispettoal 2007 che ha indotto il candidato sindaco di Istanbul del Partito repubblicano del popolo (Chp), Kemal Kilicdaroglu, a sostenere che la formazione di Erdogan “è in declino”. Lo stesso premier si è detto insoddisfatto, sia della flessione registrata dal suo partito sia della mancata elezione dei suoi candidati a primo cittadino in città come Diyarbakir (dove ha dominato una formazione curda) o Antalya.
    Ciononostante Erdogan, che paga oltre alla crisi economica anche un certo atteggiamento di insofferenza alle critiche, può dirsi soddisfatto perchè lo stesso Chp, principale partito di opposizione, pur crescendo di 7 punti raggiunge appena il 28%, e potrebbe rappresentare un'alternativa di governo solo sommando i propri voti al movimento nazionalista Mhp, che ha il 15%. Inoltre l'Akp conserva le città di Ankara e Istanbul.
    Un black-out elettrico nel quartiere della capitale in cui si trovano gli uffici per il conteggio del voti ha spinto il candidato sindaco di Ankara Murat Karayalcin a ipotizzare brogli elettorali.
    Come purtroppo da tradizione, le elezioni sonos tate segnate da scontri e attentati. Il bilancio è di almeno sei morti ed oltre 50 feriti. Nelle amministrative del 2004 le vittime erano state otto e i feriti più di un centinaio.

    Decisamente più plebiscitario il risultato delle elezioni politiche in Montenegro, dove i quasi 500.000 elettori hanno consegnato una netta maggioranza al premier uscente Milo Djukanovic e alla sua coalizione di centrosinistra guidata dal Partito socialista democratico. Anche qui lo spoglio è andato a rilento, ma sembra che la coalizione Per un Montenegro europeo monopolizzata da Djukanovic abbia conquistato il 51,1% dei voti. I seggi ottenuti dovrebbero essere 49 su un totale di 81, quindi iù dei 41 che Djukanovic già controllava nella precedente legislatura, interrotta per elezioni anticipate proprio per avere una maggioranza più salda.
    Questo consenso è sufficiente non solo a governare da solo ma anche a traghettare la più piccola delle repubbliche ex jugoslave verso l'Unione europea. Djukanovic ha presentato domanda di adesione all'Ue nel dicembre scorso, ottenendo dalla Repubblica ceca, presidente di turno dell'Ue, l'impegno di accelerare il processo di integrazione osteggiato invece dalla Germania e dall'Olanda.

    Si è votato infine anche nella piccola isola di Mayotte, ex colonia francese al largo delle coste del Madagascar. Il referendum chiedeva ai 71.000 elettori di scegliere se preferivano l'indipendenza o di continuare ad essere territorio francese. Il 95% ha scelto di diventare il 101esimo dipartimento della repubblica Francese e il quinto dominio d'Oltremare dopo Guyana, Réunion, Guadalupa, e Martinica. Si conclude così un itinerario amministrativo cominciato nel 1974, quando gli abitanti di Mayotte decisero di restare legati alla Francia colonizzatrice e di non scegliere l'indipendenza come le altre isole delle Comore. L'unione africana e i paesi vicini considerano Mayotte un "territorio occupato".

    30/03/09

    Comunicazione

    Cari lettori, come forse avrete visto dal bannerino sotto la testata, da oggi il blog si sdoppia in due entità collegate ma distinte.
    Qui rimarranno le notizie sulla politica internazionale, mentre la rubrica "Vista da lontano" dedicata agli articoli della stampa estera sull'Italia si sposta (insieme ad altre cose) nel sito Notizie in movimento, che ho aperto sulla piattaforma blog de "L'essenziale", testata giornalistica on-line. Il nuovo blog potrebbe preludere ad una collaborazione con la testata, quindi non mancate e accorrete numerosi anche nel nuovo spazio!

    USA - Obama: niente truppe americane in Pakistan

    Intervistato dall'anchorman Bob Schieffer durante l'appuntamento domenicale con "Face the Nation", Barack Obama ha chiarito che le truppe statunitense non metteranno piede in Pakistan, una precisazione arrivata per sedare una ridda di voci nata nei giorni scorsi dopo che lo stesso Obama aveva denunciato una ripresa delle attività di Al Qaeda proprio in Pakistan per preparare nuovi attentati contro gli Stati Uniti.
    Obama ha compunque ribadito di essere favorevole ai raid mirati contro i covi di terroristi. "Se individueremo un target di alto livello, dopo esserci consultati con il Pakistan, gli daremo la caccia", ha spiegato. Il presidente americano ha anche assicurato che gli Stati Uniti vogliono rispettare la sovranità nazionale del Pakistan: "Dobbiamo lavorare con loro e attraverso di loro per gestire Al Qaeda".
    "Una delle nostre preoccupazioni" ha spiegato il presidente americano "è che negli ultimi anni si è creata tra i pakistani la sensazione che la guerra al terrorismo sia una faccenda dell'America, e che non riguardi loro. E penso che questo atteggiamento abbia portato a un aumento dell'estremismo che è la più grande minaccia per la stabilità del governo del Pakistan e soprattutto per il popolo pakistano".
    Obama ha poi parlato del previsto aumento di truppe in Afghanistan, che sembra preludere ad un impegno a lungo termine "La storia dell'Afghanistan ci insegna che quel paese non è ben disposto verso l'intervento straniero. Per questo la parte centrale della nostra strategia è perparare l'esercito nazionale afghano ad affrontare l'aumento del terrorismo nei loro confini".
    Per quanto riguarda l'Iraq, Obama ha confermato il piano di ritiro aggiungendo però che c'è ancora molto lavoro da fare, e che quindi il ritiro non subirà nessuna accelerazione.

    28/03/09

    Diario della settimana

    Repubblica Ceca: a pochi giorni dal voto di sfiducia, il primo ministro Mirek Topolanek ha presentato le dimissioni del suo governo al presidente Vaclav Klaus. Le dimissioni giungono mentre la Repubblica Ceca detiene la presidenza di turno semestrale dell'Ue. La caduta del governo Topolanek mette anche a rischio la ratifica ceca del Trattato di Lisbona e quindi la sua adozione a livello europeo. Implicato in una serie di scandali, l'esecutivo ceco è anche la terza vittima della crisi economica che nell'Europa dell'est ha già fatto cadere i governi di Lettonia e Ungheria.
    Ora in base alla costituzione, il presidente Vaclav Klaus deve scegliere a chi affidare la formazione di un nuovo esecutivo, probabilmente allo stesso Topolanek, che ha già detto di aspettarsi un reincarico. Se però fallirà tre volte, avrà l'obbligo di indire nuove elezioni. La scadenza regolare delle prossime politiche sarebbe stata nel 2010. L'Ue ovviamente sta facendo pressioni affinchè la crisi si risolva al più presto senza mettere a repentaglio il trattato.

    Giappone: sale la tensione per l'annunciato lancio di un missile balistico da parte della Corea del Nord. Con una decisione senza precedenti nel dopoguerra il Giappone ha deciso di attivare lo scudo antimissile. Il consiglio di sicurezza nipponico guidato dal premier Taro Aso ha perciò dato l'ordine di abbattere il razzo nordcoreano. I Patriot sono già stati schierati attorno alla capitale e nel nord-est del paese. La Russia intanto ha invitato la Corea del Nord a rinunciare al lancio, che secondo Pyongyang dovrebbe avvenire fra il 4 e l'8 aprile e dovrebbe servire a mettere in orbita un satellite ad uso civile.

    Singapore: il parlamento di Singapore ha legalizzato la vendita degli organi attraverso una forma di 'rimborso' ai donatori. La quasi totalita' dei parlamentari, 79 su 84, ha votato a favore. La decisione sta scatenando polemiche ma il ministro della Salute Khaw Boon Wan spiega: non si tratta propriamente di una legalizzazione ''ma di correggere la posizione estrema che criminalizza tutti i tipi di pagamenti per chi decide di donare''. Il governo ha proposto una modifica al testo in seguito all’arresto, nel giugno scorso, del miliardario Tang Wee Sung: il magnate è finito in prigione per un giorno ed è stato condannato a un risarcimento in denaro per aver cercato di comperare un rene da un donatore indonesiano. L’esecutivo ha deciso quindi di regolare la materia, per consentire ai donatori di ricevere per legge un compenso in denaro.

    Messico: Manu Chao, il noto cantante francese impegnato in molte battaglie politiche, potrebbe essere espulso dal Messico. L'artista è accusato dalle autorità di Città del Messico di aver tenuto dei discorsi a sfondo politico tanto da essere considerati come un'ingerenza nella vita politica del Paese centroamericano.Uno dei portavoce del ministero dell'Interno messicano ha fatto sapere che un'indagine sarebbe stata già avviata "per sapere ciò che ha detto il cantante e in quale contesto". Le polemiche sarebbero partite dal fatto che il cantante avrebbe definito "terrorismo di Stato" l'intervento della polizia messicana a Salvador de Atenco nel 2006 dove gli agenti avevano attaccato dei venditori ambulanti di fiori che volevano protestare contro lo sgombero del loro mercato, causando la morte di due di loro. La frase incriminata "Ciò che è successo a Atenco è in un certo modo terrorismo di Stato" ora è al vaglio degli inquirenti. L'articolo 33 della Costituzione messicana, infatti, prevede che i cittadini stranieri presenti nel Paese non possano esprimere giudizi e pensieri sulla situazione politica.

    Francia: Il ministro della Difesa francese, Herve Morin, ha reso noto un progetto di legge per risarcire le persone chehanno subìto danni in seguito ai test nucleari effettuati dalla Francia in Algeria e in Polinesia tra il 1960 e il 1996. Il progetto sarà discusso in parlamento entro giugno. Un fondo di dieci milioni di euro è già stato stanziato peril primo anno. In seguito ai test francesi si sono ammalate circa 150mila persone, tra civili e militari.

    27/03/09

    Israele - Un accordo per dividere la Palestina?

    All'indomani dell'accordo tra Netanyahu e il leader laburista Barak per portare al governo con il Likud sia la destra estrema di Ysrael Beitenu sia il centrosinistra, la politica israeliana è ancora in fermento, e non solo per le posizioni politiche, ma anche per i sospetti di un accordo sottobanco.
    Da un lato Tzipi Livni - con Kadima ormai rimasta praticamente da sola all'opposizione, assieme a partiti di seconda e terza fascia - ha attaccato duramente l'ex alleato Barak, accusandolo di fare politica di bassa lega e di pensare solo alle sue mire personali.
    Dall'altro lato all'interno dello stesso Labour Party la decisione di Barak - avallata da un voto sul filo di lana del direttivo del partito, praticamente spaccato a metà - non va proprio giù, e a farsi portavoce del malcontento è il segretario organizzativo Eitan Cabel, che non ha dubbi sull'orientamento del nuovo governo "Netanyahu e Lieberman daranno gli ordini e Barak li eseguirà. Al pensiero mi vengono i brividi".
    Dall'altro lato ancora c'è il Likud, che non è immune dalle polemiche, che peraltro arrivano da più fronti. Sul fronte interno, il premier incaricato Netanyahu deve confrontarsi col malcontento suscitato proprio dall'alleanza con i laburisti:molti estremisti del Likud contestano la scelta di Netanyahu di non formare un governo delle destre che al momento avrebbe alla Knesset una maggioranza di 65 seggi su 120. Altri giudicano eccessive le promesse fatte da Netanyahu al leader laburista Ehud Barak, altri ancora trovano inconcepibile che il leader del Likud non abbia offerto uno tre principali ministeri - Esteri, Difesa e Finanze - ai suoi compagni di partito. L'unico ministero di rilievo che Netanyahu sarebbe pronto a concedere ad un dirigente del Likud è quello dell'istruzione, non proprio un posto di primo piano.
    Sul fronte estero, però, Netanyahu deve affrontare spinte opposte, ovvero le preoccupazioni che il suo governo sia troppo di destra. Preoccupazioni che in particolare arrivano dagli Usa (Netanyahu non ha ancora parlato ufficialmente con Obama, ma quotidianamente invia messaggi diplomatici agli Stati Uniti tranquillizzandoli sulla sua volontà di rispettare gli accordi di pace) e dall'Egitto, tanto che alcuni emissari del futuro primo ministro israeliano hanno incontrato dei dirigenti egiziani per rassicurarli su un'eventuale nomina agli Esteri dell'ultranazionalista Avigdor Lieberman. Proprio Lieberman aveva scatenato una polemica con l'Egitto in ottobre, affermando che il presidente Hosni Mubarak poteva "andarsene al diavolo" per via del rifiuto di quest'ultimo ad andare in visita ufficiale in Israele.
    Ma la notizia che sta più di tutte creando scompiglio nel Medio Oriente è quella di un accordo segreto tra il Likud e Lieberman per l'estensione della città-colonia di Maaleh Adumim, fino a collegarla a Gerusalemme. E' un vecchio progetto, frenato ripetutamente per le proteste non soltanto dei palestinesi ma degli stessi americani, compresa la vecchia amministrazione Bush: il suo completamento eliminerebbe la continuità geografica del territorio del futuro stato palestinese, venendo meno ad uno dei cardini degli accordi dei "due popoli, due stati", e a poco vale la proposta di costruire un tunnel che unisca le due parti di territorio palestinese.
    Sembra tuttavia difficile che un governo così traballante, e a cui i commentatori danno pochi mesi di vita, riesca ad arrivare ad una decisione così clamorosa e contestata.

    26/03/09

    Russia-NATO - Alleanza, anzi no

    In tempi molto rapidi, dopo la ripresa del dialogo con la Nato, i rapporti tra la Russia e l'organizzazione atlantica sembrano nuovamente in rotta di collisione.
    "I ministri si sono trovati d'accordo a riprendere formalmente le relazioni con la Russia", aveva annunciato Scheffer, al termine del Consiglio esteri della Nato lo scorso 5 marzo. Il segretario generale ha indicato che la prima riunione "formale", a livello dei "ministri", del Consiglio Nato-Russia "avrà luogo probabilmente dopo il Vertice" per i 60 anni della Nato, previsto agli inizi di aprile a Strasburgo e Kehl.
    E mentre proprio oggi, a Roma, su invito della Delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare dell'Osce, si terrà un importante convegno sul tema della sicurezza in Europa a cui parteciperanno anche i rappresentanti di Mosca, la Russia ha esplicitato la sua idea in merito, un'idea che non ha trovato consensi nella Nato.
    Il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ha infatti preso le distanze dalla Nato spiegando che "Con la Nato vediamo un potenziale di collaborazione su Afghanistane altri dossier. Ma non ci piace che l’organizzazione giudichi tutto e tutti, non capiamo perché voglia espandersi e perché voglia annettere Ucraina e Georgia". Di conseguenza "Serve una nuova struttura fatta di principi legali per evitare conflitti"
    Mosca non vede di buon occhio le mire espansionistiche della Nato e della stessa Ue nei confronti di sei ex repubbliche sovietiche con cui i 27 del Consiglio Europeo hanno approvato un protocollo di collaborazione. Protocollo che viene visto come il preludio ad un'annessione all'Unione, con la conseguenza di portare l'Ue ai confini con la Russia "Noi veniamo accusati di cercare di avere sfere di influenza. Ma questa nuova iniziativa europea che cos’è. E’ una sfera di influenza? E comprende la Bielorussia?" ha polemicamente chiesto Lavrov.
    Le richieste di Lavrov però sono state respinte dal capo della politica estera dell’Ue, Javier Solana: "La sicurezza dell’Europa si fonda su organizzazioni e strutture che funzionano".
    Ma Mosca si muove su due fronti, e mentre mette le carte in tavola con l'Europa, continuano le manovre di avvicinamento agli Usa "E' arrivato il tempo di esplorare un nuovo inizio. Noi possiamo e dobbiamo trovare le strade per lavorare costruttivamente con la Russia nelle aree in cui condividiamo interessi, incluso gli aiuti al popolo dell'Afghanistan", ha detto Hillary Clinton nel suo primo discorso al consiglio esteri della Nato, dove ha avuto un colloquio con lo stesso Lavrov.

    25/03/09

    Israele - I laburisti entrano nel governo

    Il comitato del Partito Laburista israeliano ha votato a maggioranza per l'ingresso del partito nella coalizione di governo guidata dal premier designato Benjamin Netanyahu. Dopo una lunga diatriba in seno al partito, e dopo che sembrava scontato il voto contrario del direttivo, il leader e ministro della Difesa Ehud Barak ha convinto i laburisti ad accettare il piano, sulla base di un accordo raggiunto nelle prime ore di martedì con Netanyahu. Non si conoscono tutti i dettagli dell'intesa, ma è sicuro che al primo punto c'è l'impegno da parte del governo a proseguire i negoziati di pace con i palestinesi. Lo stesso Barak, poi, avrebbe ricevuto assicurazioni quanto al suo personale coinvolgimento nelle decisioni di rilievo in campo diplomatico o di sicurezza. Al ministro della Difesa sarebbero state fornite garanzie anche sulla determinazione del governo in via di formazione di restringere o smantellare gli insediamenti illegali in Cisgiordania.
    Si sapeva che Netanyahu era impegnato a cercare di estendere il più possibile la sua coalizione governativa, che altrimenti si sarebbe retta solo sui voti degli estremisti anti-arabi e degli ultraortodossi, ma dopo la rinuncia di Kadima sembrava che le trattative dovessero arenarsi.
    Barak, che dovrebbe mantenere la carica di ministro della Difesa, ha dovuto affrontare una dura resistenza interna - 680 voti a favore e 570 contro - da parte di chi lo ha accusato di aver distrutto il partito (ai minimi storici nelle ultime elezioni) e di voler continuare a smantellarlo "vendendosi" a Netanyahu in cambio di una poltrona. Barak ha invece spiegato di voler prendere atto del ridimensionamento elettorale dello storico partito, fondatore dello stato di Israele, e di voler evitare di lasciare il paese nelle mani della destra. A conferma di questo, il sofferto accordo con il rivale storico Netanyahu, che Barak sconfisse e sostituì al governo nel 1999, salvo poi perdere le elezioni nel 2001 in favore del Likud di Sharon.
    Likud e Labur hannogià governato insieme, nel 1980, quando i due partiti erano arrivati testa a testa e insieme avevano deciso di guidare il paese in coabitazione: due anni il premier laburista Shimon Peres, due quello di destra Yizthak Shamir.
    Il dato più curioso di questa coalizione, che attraversa la Knesset dal centro-sinistra fino all'estrema destra scavalcando il centro, è che lascia fuori Kadima, ovvero il partito di maggioranza relativa che ha conquistato più voti alle scorse elezioni, e che si troverà a fare un'opposizione quasi solitaria.

    Fonte: Haaretz

    24/03/09

    Somalia, il prossimo obiettivo di Al Qaeda

    Nell'ultimo messaggio audio attribuito a Osama bin Laden e diffuso pochi giorni fa sui forum islamici, lo "sceicco del terrore" (o chiunque parli a suo nome nel messaggio) si è rivolto ai mujahedin somali invitandoli a rovesciare il presidente Sharif Sheikh Ahmed.
    Nell’ultima registrazione diffusa, il leader di Al-Qaeda accusa il presidente somalo Ahmad Sharif, di essere alleato degli Stati Uniti e invita i miliziani islamici a non abbandonare la Jihad. "Chiedo a tutti i musulmani di aiutare i mujahedin somali fornendo loro assistenza materiale in modo da creare uno stato islamico in Somalia. Nazione islamica, la vittoria dei mujahidin in Somalia è di particolare importanza. State respingendo un’invasione delle forze crociato-sioniste, ma un’altra invasione sta avvenendo in Sudan, a partire dal Darfur. E questo perchè tra le coste del Sudan e La Mecca ci sono solo 300 chilometri di distanza, meno della gittata dei missili Scud".
    Già nel suo penultimo discorso bin Laden si era scagliato contro contro "alcuni dirigenti arabi complici dell’alleanza crociata e sionista contro il nostro popolo". "Sono dirigenti - proseguiva - che l’America definisce moderati". Il riferimento era al presidente egiziano Hosni Mubarak e al re saudita Abdullah ben Abdul Aziz al Saud. Bin Laden ha inoltre criticato tutti i capi politici dei paesi musulmani “dalla Mauritania all’Indonesia (…), perché non hanno nulla a che fare con l’Islam”.
    Ahmed, un islamista moderato, e' stato eletto presidente della nazione africana a gennaio dopo colloqui di riconciliazione mediati dall'Onu e ha promesso di tendere la mano ai gruppi estremisti.
    Intanto il governo somalo ha annunciato un'offensiva militare, per riconquistare i territori in mano ai gruppi radicali islamici.
    "Siamo pronti a dare vita a una vasta offensiva militare per riconquistare le zone cadute nelle mani dei ribelli" ha dichiarato Aden Mohamed Nor, funzionario del governo di transizione.

    23/03/09

    USA-Iran: Obama apre, Khamenei chiude

    Il leader supremo dell'Iran, l'ayatollah Ali Khamenei ha rigettato le parole di apertura del presidente Obama, arrivate nel messaggio inviato nel giorno del Nowruz, il capodanno iraniano. Il presidente americano aveva invitato Teheran a fare tabula rasa degli ultimi trent'anni di conflitti per dare inizio ad una nuova fase. Una mossa, a detta degli esperti, dettata non tanto dalla effettiva volontà di stabilire una partnership con la repubblica islamica, quanto dal tentativo di togliere ogni alibi al regime degli ayatollah, che fonda il proprio consenso in buona parte proprio sulla contrapposizione agli Stati Uniti.
    L'ayatollah Khamenei, che ha l'ultima parola sulle politiche iraniane, ha risposto sabato scorso con un messaggio video in cui ha detto che non ci sarà nessun cambiamento nei rapporti tra Usa e Iran finchè Obama non metterà fine alle ostilità contro Teheran e non porterà dei seri cambiamenti in tutta la politica estera americana. Ha comunque lasciato aperta una porta "Se doveste cambiare, anche il nostro cambiamento cambierà".
    Khamenei ha anche chiesto come faccia Obama a invocare dei nuovi rapporti e, nello stesso messaggio, accusare l'Iran di sostenere il terrorismo.
    "Ha insultato la repubblica islamica dell'Iran dal primo giorno. Dov'è il cambiamento? Qual è il segno del cambiamento? Spiegateci che cosa è cambiato".
    Un messaggio all'America ma anche all'interno in vista delle elezione del 12 giugno.
    L'analista politico iraniano Saeed Leylaz, intervistato dal "New York Times", ha spiegato che il regime deve pubblicamente mantenere un certo grado di politica anti-Usa per conservare la propria autorità, anche se ufficiosamente potrà avviare il dialogo. Secondo Leylaz, l'amministrazione americana potrebbe mettere in difficoltà la retorica del regime abolendo alcune parti dell'embargo contro l'Iran.

    21/03/09

    Diario della settimana

    USA: il Governatore del New Mexico Bill Richardson ha firmato la legge che abolisce la pena di morte nello Stato. Dopo ripetuti tentativi di diversi legislatori, il 10 marzo scorso, il Senato del New Mexico aveva approvato il disegno di legge per eliminare la pena capitale per iniezione sostituendola con l'ergastolo, senza la possibilita' di sconti di pena. Con il New Mexico, diventano 15 gli Stati americani che hanno abolito la pena capitale. Nel New Mexico formalmente la pena di morte era ancora in vigore, ma dal 1960 non si tenevano esecuzioni. Richardson, che in passato aveva espresso riserve ad un abolizione totale della pena, ha detto “E’ stata la scelta più difficile di tutta la mia carriera politica”. Prima di firmare l'ex candidato presidenziale ha visitato le aree di massima sicurezza del penitenziario statale affermando “La mia conclusione è stata che la vita in quelle celle può anche essere peggiore della morte: credo che questa sia già una giusta punizione”.

    Spagna: aria di crisi per il Governo Zapatero, a causa della crisi economica che ne spinto ai minimi storici il gradimento per l'operato dell'esecutivo. Dopo le recenti elezioni regionali che gli hanno tolto l'appoggio dei partiti nazionalisti nei Paesi Baschi e in Galizia, il Psoe si trova praticamente a guidare un governo di minoranza (ha solo 169 deputati su 350, sette seggi in meno della maggioranza assoluta), e questa settimana per evitare di essere battuto nelle votazioni al Congreso (camera dei deputati), il partito ha dovuto unirsi ad alcune proposte economiche presentate dall'opposizione di centrodestra del Partido popular (Pp) e dai nazionalisti moderati catalani di Convergencia i Uniò (CiU). Una terza proposta, questa sì del Psoe, è passata solo grazie all'assenza di alcuni deputati del Pp.
    "Così lei non reggerà più di sei mesi", ha attaccato il capo dell'opposizione Rajoy. Zapatero ha evitato di rispondere direttamente e ha detto che "quando l'economia mondiale e il sistema finanziario recupereranno un minimo di normalità saremo in condizioni di prendere nuove misure per preparare e rilanciare l'economia spagnola e la creazione di lavoro". Ma con la disoccupazione che in un anno e mezzo è salita dall'8% al 14%, la popolarità di Zapatero e dei suoi ministri è in costante calo, tanto che la settimana scorsa si sono moltiplicate le voci su possibili rimpasti di governo nei prossimi mesi.

    Sri Lanka: prosegue la crisi nel paese, aggravatasi da quando il 2 gennaio l’esercitocregolare è entrato a Kilinochchi, la capitale dello stato de-facto della etnia ribelle Tamil e del LTTE (Liberation Tigers of Tamil Eelam). Da settembre un numero non ben definito di persone, tra le 200,000 e le 250,000, è sfollato e in continuo movimento. Di queste centinaia di migliaia solo 30,000 sono riuscite a uscire dalla enclave ancora controllata dall’LTTE.
    Il governo dello Sri Lanka, per bocca del ministro degli Esteri Palitha Kohona, ha respinto ogni ipotesi di tregua nonostante le pressioni internazionali: "Un cessate il fuoco verrebbe usato dall'Ltte per riarmarsi e raggrupparsi". Con la stessa motivazione il governo di Colombo aveva rifiutato a fine febbraio la tregua chiesta dall'Ltte.

    Sudafrica: Jacob Zuma, leader dell'African National Congress e grande favorito per le elezioni sudafricane del prossimo 22 aprile, potrebbe essere presto scagionato dalle accuse di frode e corruzione che lo hanno colpito. Il processo per corruzione è iniziato 2007 ma si è trascinato per due anni tra continui rinvii e interruzioni. Secondo l'accusa, Zuma avrebbe ricevuto una tangente nell'ambito di un accordo tra il governo sudafricano e la compagnia di sicurezza francese Thint. Ora la Corte suprema sta considerando di prosciogliere Zuma per mancanza di prove. Sono insorte le opposizioni, che hanno accusato l'Anc di aver fatto pressioni sulla National prosecuting Authority per affossare il caso.
    Per ora, la Npa si è trincerata dietro un silenzio di facciata, rendendo noto che la posizione di Zuma è al vaglio degli inquirenti e che nessuna decisione è stata ancora presa.

    Iran: è morto in carcere, apparentemente per suicidio, Omid Reza Mirsayafi. Ventinove anni, Mirsayafi era stato condannato nel novembre scorso a due anni e mezzo di carcere per attacchi al capo della Repubblica islamica Ali Khamenei. Da alcuni giorni era stato ricoverato a causa delle sue precarie condizioni di salute nell'infermeria della prigione, dove è deceduto per un'overdose di medicinali.
    Dopo l'arresto Mirsayafi ha trascorso 41 giorni in isolamento. Poi, grazie al pagamento di una cauzione di 100.000 dollari è uscito di prigione. Nel novembre scorso il giornalista iraniano è comparso davanti alla corte della rivoluzione che lo ha condannato a due anni e mezzo di reclusione per diffamazione e propaganda di notizie contro il regime. In aprile sarebbe dovuto comparire davanti ai giudici per un altro processo.
    Su Facebook è stato creato un gruppo in cui si chiede che vanga fatta luce sulla morte di Mirsayafi http://www.facebook.com/group.php?gid=61678271711

    20/03/09

    Israele - Quasi pronto per il governo Netanyahu

    Il Likud, il partito di destra israeliano del primo ministro designato Benyamin Netanyahu, ha concluso un accordo con Ysrael Beitenu, la formazione di estrema destra guidata da Avigdor Lieberman. Lo ha riferito un portavoce del partito al termine di un incontro negoziale durato diverse ore.
    L'accordo, resosi necessario dopo il rifiuto di Kadima e dei laburisti di entrare in un governo di unità nazionale guidato dallo stesso Netanyahu, prevede che la formazione radicale di destra, terzo maggior partito di Israele dopo il voto dello scorso 10 febbraio, ottenga cinque ministeri: quello degli Esteri, che dovrebbe andare al capo del partito Avigdor Lieberman, e quelli della Sicurezza interna, delle Infrastrutture, del Turismo e dell'Integrazione.
    I negoziati per portare il nuovo governo ad ottenere la fiducia non sono però terminati. Il Likud e Israel Beitenu infatti non hanno la maggioranza sui 120 seggi della Knesset, e hanno bisogno di concludere accordi con altre formazioni per ampliare l'alleanza, accordi che riguarderanno gli altri partiti di destra e ortodossi che hanno conquistato seggi alle ultime elezioni. Per Netanyahu, che fu già primo ministro dal 1996 al '99, la deadline è fissata per il 3 aprile, quando terminerà il periodo di 42 giorni del mandato per formare il nuovo governo. A quel punto Netanyahu dovrà presentarsi dal presidente Peres con una maggioranza solida oppure bisognerà rifare tutto da capo. Ma non ci sono grossi dubbi sul fatto che Netanyahu riuscirà a formare il governo, l'accordo con Lieberman era il passo più difficile e ora la strada sembra in discesa.
    L'accordo ha però suscitato reazioni preoccupate: il fatto che Lieberman sarà ministro degli Esteri genera forti timori tra i sostenitori della ripresa del processo di pace. Lieberman è noto per le sue posizioni radicali, non ha mai nascosto la sua contrarieta' (come Netanyahu) alla nascita di uno Stato palestinese indipendente e nei mesi scorsi ha condotto una durissima campagna elettorale contro i cittadini arabi di Israele (circa il 20% della popolazione). L'accordo tra Likud e Yisrael Beitenu non prevederebbero negoziati con i palestinesi e ribadiscono solo che Israele non negozierà con organizzazioni terroristiche e cerchera' abbattere il potere di Hamas a Gaza. L'accordo lascia però aperta la porta a un successivo ingresso dei centristi nella coalizione (d'altrone Yisrael Beitenu, sia pure in un ruolo marginale, era anche nella precedente coalizione governativa guidata da Kadima).
    L'Unione Europea, per bocca del suo Alto rappresentante in politica estera Javier Solana, si dice pronta a lavorare con il nuovo governo israeliano purche' esso sia a sua volta pronto a "proseguire sulla strada che prevede la creazione di uno Stato palestinese". In caso contrario, ha avvertito Solana, "la situazione sara' molto diversa", lasciando intravedere un raffreddamento delle relazioni.

    19/03/09

    Europa: un continente alla deriva

    A continent adrift
    di Paul Krugman (Premio Nobel per l'Economia nel 2008)
    da: "New York Times"

    Sono preoccupato per l'Europa. Veramente sono preoccupato per tutto il mondo - non ci sono oasi per rifugiarsi dalla tempesta economica globale. Ma la situazione dell'Europa mi preoccupa anche più di quella dell'America.
    Per essere chiari, non sto per ripetere i soliti lamenti americani sul fatto che in Europa le tasse sono troppo alte e i benefici troppo generosi. Il welfare pesante non è la causa della crisi Europea. Anzi, è un fattore positivo.[...]
    L'Europa si trova in difficoltà sia per la politica fiscale che monetaria, sta affrontando una crisi grave quanto quella americana, ma sta facendo molto di meno per combatterla.
    Per quanto riguarda la politica fiscale, il paragone con gli Usa è marcato. Molti economisti, me compreso, sostengono che il piano dell'amministrazione Obama è insufficiente, vista la profondità della crisi, ma l'azione dell'America fa sparire qualsiasi cosa gli europei stiano facendo.
    La differenza nella politica monetaria è ugualmente impressionante. La Banca Centrale Europea è stata molto meno attiva della Federal Reserve; è stata lenta nel tagliare i tassi di interesse e ha evitato ogni misura forte per sbloccare il mercato creditizio.
    L'unica cosa che in Europa gira nel verso giusto è proprio quella per cui si è attirata le maggiori critiche: la grandezza e la generosità del suo stato sociale, che sta attutendo l'impatto della crisi economica.
    Non è cosa da poco. Polizze sanitarie garantite e generosi sussidi di disoccupazione assicurano che, almneo finora, non ci sia in Europa quel grado di sofferenza umana che c'è in America. E questi programmi permettono di continuare a spendere durante i periodi di crisi.
    Ma questi "stabilizzatori automatici" non sostituiscono l'azione positiva.
    Perchè l'Europa ha sbagliato? Una cattiva leadership ha un ruolo in questa storia. I banchieri europei, che non hanno capito la profondità della crisi, sembrano ancora stranamente compiaciuti. [...]
    Ma c'è un problema più grave: l'integrazione economica e monetaria si è spinta molto più in là delle sue istituzioni politiche. Le economie di molte nazioni europee sono legate tra loro quasi quanto quelle degli stati americani, e la maggior parte dell'Europa condivide la stessa moneta. Ma a differenza dell'America, l'Europa non ha quel tipo di istituzioni continentali adeguate ad affrontare una crisi continentale.
    Questa è la maggiore ragione per la mancanza di azione fiscale: non c'è un governo in una posizione tale da prendersi la responsabilità di tutta l'economia europea. Quello che invece l'Europa ha, sono governi nazionali riluttanti ad aumentare il debito pubblico per finanziare uno stimolo che avrà effetti positivi in gran parte, se non in toto, per gli elettori degli altri paesi.[...]
    L'Europa, in altre parole, sta scoprendo di essere strutturalmente debole in tempo di crisi.
    Il punto è capire cosa succederà a quelle economie europee che sono esplose qualche anno fa nel tempo dell'espensione e del denaro facile, la Spagna in particolare.
    Nello scorso decennio, la Spagna è stata la Florida d'Europa, la sua economia è stata trainata da un bomm speculativo immobiliare. Come in Florida, il boom è imploso. Ora la Spagna deve trovare nuove fonti di introiti e di lavoro per sostituire i posti persi nel settore immobiliare.
    In passato, la Spagna avrebbe riacquistato competitività svalutando la moneta, ma adesso è nell?Euro, e ora l'unica via da percorrere è tagliare gli stipendi, una soluzione quasi inconcepibile ora come ora.
    Questo significa che è stato uno sbaglio la creazione dell'Euro? Forse.
    Ma l'Europa può ancora provare che gli scettici si sbagliano, se i politici mostreranno una maggiore leadership. Ma lo faranno?


    Copyright 2009 The New York Times Company

    18/03/09

    Madagascar - Il golpe è riuscito, il presidente si dimette

    Dopo disordini durati diversi mesi, e svariati tentativi di costringere il presidente Ravalomanana a dimettersi, il golpe è finalmente riuscito. Il presidente del Madagascar, Marc Ravalomanana, ha consegnato il potere ai militari. L'ambasciata degli Stati Uniti ad Antananarivo si è offerta di provvedere alla sua sicurezza.
    L'ex sindaco della capitale Andry Rajoelina, che aveva guidato le rivolte di piazza prima di essere costretto a lasciare la carica, si è già istallato nel palazzo presidenziale occupato ieri sera dall'esercito, grazie al sostegno dei militari al comando del colonnello Andre Ndriarijaona (nominato Capo di Stato Maggiore dell'esercito malgascio dieci giorni fa dopo aver guidato un ammutinamento).
    Il 34enne nuovo leader (nella foto), che ha alle spalle un passato da disk-jockey, proprio a causa della sua giovane età non potrà, per ora, essere il nuovo presidente del Madagascar (l'età minima è 40 anni), carica che rimane quindi vacante.
    Ravalomanana aveva dichiarato lunedì di non voler lasciare la sua carica e si era detto disposto, se necessario, a morire insieme ai fedelissimi della guardia presidenziale. Martedì si è però dovuto arrendere al golpe messo in piedi da oppositori e militari.
    Il 59enne Ravalomanana, anche lui ex sindaco della capitale, era salito al potere nel 2002 dopo un durissimo scontro con Didier Ratsikara, il presidente socialista del Madagascar dal 1975 al 2001. Dopo essersi autoproclamato presidente sull'onda delle proteste popolari che costrinsero Ratsikara a fuggire in Francia, Ravalomanana ha goduto di un largo consenso, ma solo per i primi anni. Oltre a non aver mantenuto la sua promessa di combattere la povertà, ha avviato una politica di privatizzazioni selvagge vendendo alle multinazionali straniere il petrolio, il carbone e le altre risorse minerali del paese, senza peraltro che il ricavato migliorasse le condizioni di vita dei malgasci.
    A questo punto l'opposizione, hanno annunciato fonti vicine a Rajoelina, riscriverà la Costituzione per creare una Quarta Repubblica sull'isola. Rajoelina, non potendo essere presidente, guiderà un'autorità pensata ad hoc, cambierà la Costituzione (forse abbassando il limite di età per diventare presidente) ed entro due anni dovrebbe portare il paese a nuove elezioni.

    17/03/09

    Pakistan - Si attenua la tensione politica, continuano gli attentati

    Sembra risolversi nel migliore dei modi la crisi che ha portato il Pakistan sull'orlo della guerra civile negli ultimi giorni.
    Tutto era nato per la proposta del leader dell'opposizione, Nawaz Sharif, di compiere una "Lunga marcia" di protesta contro il governo Zardari. La lotta per il potere tra il Zardari e Sharif (insieme nella foto), iniziata in sordina subito dopo l'uscita di scena di Musharraf e di Benazir Bhutto, stava quindi esplodendo insieme alle contraddizioni di un Paese che sperava di passare dalla dittatura militare alla democrazia e che invece è rimasto impantanato in mezzo a un pericoloso guado. Nello scorso week end si era sparsa la voce che Sharif fosse stato messo agli arresti domiciliari, e a Lahore si era radunata una imponente folla di sostenitori, pronti a ribellarsi. A guidare la protesta anti-governativa sono le associazioni di avvocati che da tre anni chiedono il reinsediamento del giudice-capo della Corte Suprema Iftikhar Mohammed Chaudhry, rimosso dal generale Musharraf. L'attuale Corte ha recentemente imposto al partito di Sharif il divieto di candidarsi a future elezioni. Una mossa orchestrata dal presidente Asif Ali Zardari proprio per evitare che il suo antagonista possa diventare premier e reinsediare un'alta Corte indipendente, che non esiterebbe ad avviare contro di lui un procedimento d'impeachment.
    Ora però il governo del premier Yousaf Raza Gillani ha annunciato la reintegrazione nelle sue dunzioni di Iftikhar Chaudhry, e Nawaz Sharif ha chiesto ai suoi di fermare la "Lunga Marcia" verso Islamabad. Il primo ministro Gilani sospenderà anche le denunce riguardanti Sharif e suo fratello Shahbaz e rilascera' le persone arrestate nei giorni scorsi.
    Nel frattempo, però, non cessano gli attentati nel paese. Un gruppo di uomini armati ha attaccato all'alba di domenica un terminal per camion che trasportano rifornimenti alle truppe Nato e Usa in Afghanistan. Si tratta del secondo attacco di questo genere in due giorni nella zona di Peshawar, nel nord-ovest del Pakistan, verso il confine con l'Afghanistan.

    16/03/09

    Vista da lontano - L'Italia del calcio sotto shock

    di John Hooper (The Guardian)

    Le sconfitte di mercoledì notte hanno portato il calcio italiano ad un record che i suoi tifosi avrebbero preferito non raggiungere. Per la prima volta negli ultimi sette anni, i quarti di finale di Champions League si giocheranno senza nessuna squadra italiana ancora in gara.
    Solo sfortuna, come l'Inter che ha preso tre pali all'Old Trafford, o qualcosa di più fondamentale?
    Jose Mourinho ha detto che il fato ha giocato un ruolo importante "Non abbiamo avuto la fortuna dalla nostra parte" ha affermato l'allenatore interista, che è rimasto invischiato in altre controversie per l'accusa - negata dall'Inter - di aver dato un pugno a un tifoso inglese.
    "Penso che tutta Italia sarà contenta della sconfitta dell'Inter" ha detto Mourinho a un intervistatore della tv italiana. La sua amarggiata dichiarazione ha messo in evidenza una delle possibili ragioni della situazione critica del calcio italiano: l'implacabile pressione delle aspettative.
    Mourinho ha detto che la differenza tra il calcio inglese e quello italiano è che il primo dura 90 minuti, mentre il secondo comincia tre giorni prima del calcio d'inizio e finisce tre giorni dopo il fischio finale dopo che le tv e le radio hanno analizzato ogni mossa.
    Luciano Spalletti, allenatore della Roma, ha detto che "Sicuramente gli inglesi hanno meno pressione di noi. Noi siamo costantemente sulla corda, loro sono più rilassati, anche negli spogliatoi". Ha detto anche di voler prendere provvedimenti per diminuire la tensione, come far ascoltare della musica ai giocatori subito prima delle partite.
    Ruggiero Palumbo, vicedirettore della Gazzetta dello Sport, ha notato che sia Inter che Roma sono scese in campo decimate dagli infortuni, e che questo è caratteristico delle grandi squadre italiane a questo punto della stagione. Si è quindi chiesto se le squadre italiane siano allenate troppo e male.
    "I calciatori inglesi giocano di più ma passano meno tempo in palestra. Forse ci stiamo concentrando troppo a creare dei calciatori Superman".
    Ma se i metodi di allenamento possono essere discussi, ci sono altri due fattori critici: i soldi e il modo in cui vengono spesi. Nessuna squadra italiana di recente ha attirato quella pioggia di contanti che negli ultimi anni ha benedetto i team inglesi come Chelsea o Manchester United.
    E le reazioni a potenziali investitori stranieri in Italia sono state molto ostili. I tifosi della Roma hanno fatto scappare due investitori negli ultimi anni, un consorzio russo e il finanziere di origini ungheresi George Soros.
    Altrettanto importante, secondo Palumbo, è il modo in cui sono stati spesi i soldi. L'Inter non è a corto di denaro e in questa stagione ha fatto due importanti acquisti: Mancini e Quaresma. Il centrocampista brasiliano era in panchina anche mercoledì scorso, e l'ala portoghese è ripartita il mese scorso alla volta del Chelsea.

    guardian.co.uk © Guardian News and Media Limited 2009

    14/03/09

    Diario della settimana

    Pakistan: rivolta nella capitale Islamabad e nelle princiapli città del Paese, dopo che le forze di sicurezza hanno arrestato migliaia di avvocati e di oppositori politici che stavano partendo per la "Lunga marcia" di protesta contro il governo Zardari. Nawaz Sharif, leader della Lega musulmana, principale partito d'opposizione, ha però assicurato che la marcia si terrà ugualmente. Una delle cause scatenanti delle proteste è stata la destituzione del presidente della Corte Suprema decisa da Zardari, vedovo di Benazir Bhutto e presidente del Pakistan dallo scorso settembre. Tutto questo nelle stesse ore in cui gli aerei Predator statunitensi bombardavano il campo d'addestramento del comandante talebano Fazal Saeed nell'area tribale di Kurram (il settimo raid del 2009, il 46° in sette mesi).

    Iraq: L’ex-vice primo ministro iracheno Tareq Aziz è stato condannato a 15 anni di carcere per il suo ruolo nell’esecuzione di dozzine di commercianti accusati di aver infranto le leggi sul controllo dei prezzi nel 1992. Il tribunale ha inoltre condannato a morte due fratellastri di Saddam Hussein, Watban Ibrahim al Hassan, ex ministro degli interni, e Sebawi Ibrahim al Hassan, direttore dei servizi di sicurezza, per il loro coinvolgimento nello stesso crimine.
    Il verdetto arriva a meno di due settimane da un’altra sentenza dell’alto tribunale iracheno, che ha scagionato Aziz nel processo per l’uccisione di musulmani sciiti nel 1999, processo che ha visto il cugino di Saddam, Ali Hassan al-Majeed, detto "Alì il chimico" ricevere una terza condanna a morte.

    Francia: I lavoratori di un impianto della Sony nella Francia sudoccidentale hanno trattenuto una intera notte l'amministratore delegato del ramo francese del gruppo per chiedere migliori termini di licenziamento quando la struttura chiuderà in aprile.
    Serge Foucher e diversi altri dirigenti Sony sono rimasti bloccati nell'impianto a Pontonx-sur-l'Adour per una notte e sono stati rilasciati a metà mattina, dopo che lo staff, che ieri ha chiuso la strada di accesso all'impianto con tre tronchi, ha ottenuto garanzie per un nuovo round di negoziati. Secondo fonti sindacali, l'ad del gruppo si era recato ieri nella sede di Pontnox-sur-l'Adour per incontrare i 311 dipendenti un'ultima volta prima delle chiusura dell'impianto. I lavoratori, ritenendo che l'azienda ignorasse le loro richieste, hanno quindi trattenuto il dirigente nella sala riunioni dove ha passato la notte, ha detto oggi il delegato sindacale Patrick Hachaguer. "Non vuol sentire - aveva dichiarato ieri il sindacalista - e noi non abbiamo trovato altra soluzione".

    Giappone: Il Giappone ha protestato duramente contro l’annunciato lancio da parte della Corea del Nord di un satellite. Tokyo ha anche avvertito che potrebbe abbattere l’oggetto spaziale che, come ha reso noto Pyongyang, dovrebbe sorvolare lo spazio aereo nipponico. Il governo di Tokyo ha poi demarcato due aree di “pericolo” al largo delle coste nazionali. La Corea del Nord ha fornito alle agenzie dell’Onu le coordinate delle zone in cui i vettori del satellite per le comunicazioni di tipo Kwangmyongsong-2, dovrebbero cadere, svelando così l’intenzione di far sorvolare al missile per la messa in orbita del satellite i cieli giapponesi. Il lancio è previsto tra il 4 e l’8 aprile. Pyongyang ha ricordato la trasparenza delle proprie procedure. L’agenzia di stato Nkcna (North Korea Central News Agency) ha riferito che il governo nordcoreano ha recentemente siglato il Trattato sullo spazio extra-atmosferico e la Convenzione sugli oggetti lanciati nello spazio extra-atmosferico al fine di “contribuire al rafforzamento della fiducia internazionale e della cooperazione pacifica per la ricerca spaziale e il lancio di satelliti”.

    Iraq: E' stato condannato a tre anni di carcere Muntazar al Zaidi, il giornalista iracheno che il 14 dicembre lanciò le sue scarpe contro George W. Bush, nel corso della sua ultima conferenza stampa in Iraq da presidente degli Stati Uniti.
    Il giornalista, che in patria è un eroe, rischiava 15 anni di carcere se il suo gesto fosse stato considerato un attentato a un capo di stato straniero. I suoi legali hanno comunque annunciato un ricorso in appello.

    13/03/09

    Inghilterra - Pochi soldi, i poliziotti sono di cartone

    L'allarme sicurezza non è prerogativa italiana, e coniugare la volontà di tutelare i cittadini con le difficoltà a far quadrare i conti in un periodo di crisi economica spinge a trovare soluzioni quantomeno originali. Sagome di poliziotti in cartone come deterrenti per i borseggi, è questa la trovata delle forze dell'ordine britanniche che stanno sperimentando questo singolare rimedio contro i piccoli crimini, come il taccheggio e il borseggio nei negozi. L'esercito di immagini a grandezza naturale di agenti ha debuttato ieri nei negozi e nei distributori di benzina di Redcar, cittadina del nord-est dell'Inghilterra. L'idea in realtà, secondo il quotidiano "Daily Mail", non è nuova: negli ultimi due anni, nel solo Derbyshire sono state già spese circa seimila sterline per i finti agenti. Nelle West Midlands, l'investimento è arrivato addirittura a 10.000 sterline per 80 finti poliziotti. In tutto, sembra che in Inghilterra e Galles siano già 13 le amministrazioni delle forze dell'ordine che hanno investito nel nuovo metodo anti-taccheggio. A quanto pare in alcuni centri la polizia ha ipotizzato di chiedere un risarcimento dei costi per la stampa degli agenti ai commercianti che ne hanno beneficiato. Ogni cartone costa dalle 12 alle 30 sterline (dipende se è anche equipaggiato da luci lampeggianti). Certamente una somma di gran lunga inferiore allo stipendio di un poliziotto in carne e ossa. In tempi di crisi è un bel risparmio, anche se il primo prototipo è stato, ironia della sorte, rubato.
    Il surrogato in uniforme staziona per lo più nei negozi e all'ingresso delle pompe di benzine per scoraggiare il cliente a infilarsi qualcosa in tasca o l'automobilista a ripartire sgommando senza pagare. Il fatto che la notizia sia stata resa pubblica non dovrebbe incidere sull'efficacia del provvedimento, L'idea è infatti che i taccheggiatori, pur riconoscendo chiaramente che si tratta di un caronato e non di un poliziotto in carne e ossa, siano psicologicamente intimoriti dalla presenza e desistano dall'eventuale furto.
    Tutto questo non basterà però a migliorare la situazione economica delle forze di polizia, che resta drammatica in Inghilterra: migliaia di agenti in tutto il Paese perderanno il posto per mancanza di fondi per gli stipendi. "Proprio quando la recessione causerà un clima di ostilità, che aumenterà crimini e disordini", ha sottolineato al Times Timothy Brain, capo delle forze dell'ordine del Gloucestershire. Mentre Barbara Wilding, comandante del Galles del Sud, teme di dover registrare, entro la fine dell'anno, un deficit di 14 milioni di sterline che le impedirà di pattugliare gli eventi più importanti anche nella città principale, Cardiff.

    Fonte: Daily Mail

    12/03/09

    Cuba-USA: ora di voltare pagina?

    di Richard N. Haass (Newsweek)

    Ci sono segni che possa davvero arrivare un cambiamento a Cuba, 50 anni dopo la rivoluzione che portò Fidel Castro al potere. Con una mossa inaspettata Raul Castro, il fratello di Fidel, ha licenziato decine di alti ufficiali la scorsa settimana.
    Raul Castro ha fatto di più che creare speranze e aspettative nel suo primo anno da presidente, e ora potrebbe puntare ad andare oltre quelle piccole riforme finora introdotte.
    Quel che è certo è il bisogno di cambiamento a Cuba. Gli uragani dello scorso anno sono costati all'isola 10 miliardi di dollari, il 20% del suo Pil, mentre la crisi economica mondiale ha frenato il turismo. La popolazione sta diminuendo, in buona parte perchè le difficili condizioni economiche e la mancanza di case ha portato i cubani a fare meno figli.
    In America, molti conservatori sostengono che si debba mantenere inalterato l'embargo diplomatico ed economico verso Cuba. Ci sono pro e contro: se può sembrare vero che il regime nato dalla rivoluzione sia sul punto di esaurirsi e il cambiamento sia a portata di mano, dall'altro lato è anche vero che il governo ha saldamente in mano la situazione, il paese non è vicino al collasso e la popolazione, rassicurata nelle necessità basilari come l'accesso all'educazione e alla copertura sanitaria, non è inclinata a volere un cambiamento radicale nè avrebbe la forza per portarlo avanti.
    La politica di isolamento americana nei confronti di Cuba è fallita: L'Havana oggi ospiterebbe più missioni diplomatiche di ogni altro paese nella regione, ad eccezione del Brasile. Neanche l'embargo economico ha funzionato. O meglio, funziona ma per nazioni come il Canada, la Corea del Sud e dozzine di altri paesi che fanno fortuna fornendo a Cuba cibo e materiali per costruzioni. I membri del Congresso americano che lamentano l'esternalizzazione dei lavori in Usa dovrebbero considerare che l'embargo priva di occupazione migliaia di lavoratori americani.
    C'è un'altra ragione per dubitare che sia saggio continuare a isolare Cuba. Per quanto lentamente, il paese sta cambiando. La domanda è se gli Usa saranno in una posizione tale da influenzare la direzione e la velocità di questo cambiamento. Non vogliamo che Cuba fallisca, a rischio che l'attuale regime diventi più autoritario, o che l'isola cada in preda al mercato della droga, alla criminalità o a una crisi umanitaria che spinga migliaia di Cubani verso le coste statunitensi.
    50 di rivalità non possono essere messi da parte tanto facilmente, ma adesso è giunto il momento che Washington agisca. Le iniziative spettano al presidente Obama, che potrebbe, ad esempio, mantenere le promesse elettorali permettendo ai cubano-americani di spedire soldi ai parenti a Cuba e di visitarli regolarmente, attenuando anche le restrizioni ai viaggi per tutti gli altri.
    L'amministrazione Obama ha una grande opportunità di iniziare a modificare la propria politica prima o durante il summit dell'Americas, che si terrà ad aprile a Trinidad. Una nuova strategia non solo aumenterebbe l'influenza statunitense a Cuba, ma potrebbe essere il modo più potente con cui gli USA potranno prepararsi al confronto diplomatico con Russia, Cina, Corea del Nord, Siria e anche Iran.

    © 2009 Newsweek, Inc.

    11/03/09

    Irlanda del Nord - Torna lo spettro dell'Ira

    L'uccisione di due soldati britannici e il ferimento di altre quattro persone in Irlanda del Nord è stato "un tentato omicidio di massa" secondo la polizia.
    Ma l'attacco della settimana scorsa non è rimasto isolato: un agente della polizia è rimasto ucciso lunedì sera in un'imboscata a Craigavon, città abitata da cattolici e protestanti nella contea di Armagh.
    L'attacco contro i militari è avvenuto sabato notte alle 21.40 (le 22.40 in Italia) nel quartier generale del genio militare a Masserene, nella contea di Antrim, a nord ovest di Belfast. Secondo le ricostruzioni della polizia una vettura si sarebbe avvicinata all’edificio e alcuni uomini che si trovavano a bordo hanno aperto il fuoco. Almeno 30-40 colpi sarebbero stati sparati durante l'attentato. Secondo i media locali, uomini armati di mitra sono arrivati con un taxi alla base. I terroristi poi hanno aperto il fuoco con i mitra all'ingresso della caserma contro i soldati che ritiravano una pizza. Gli attentatori hanno finito i due soldati del genio, poco più che ventenni, quando questi giacevano a terra feriti dalla prima raffica sparata. I due sparatori sono poi scappati a bordo di un'auto guidata da una terza persona. Come detto oltre ai due militari che sono rimasti uccisi, altre quattro persone (fra le quali due militari) sono rimaste ferite. Uno dei feriti è in condizioni critiche.
    Le vittime sono i primi soldati britannici uccisi in Irlanda del Nord da 12 anni, dagli "accordi del venerdì santo" che misero fine al conflitto.
    "Le indagini si concentrano sui dissidenti repubblicani" spiega il sovrintendente Williamson, riferendosi ai militanti cattolici dell'IRA che hanno rifiutato di unirsi al processo di pacificazione dell'Irlanda del Nord. Il primo attentato è stato rivendicato dai membri della Real Ira, frangia terrorista che non ha mai accettato il cessate il fuoco. Il secondo attacco è invece stato rivendicato da "Continuity Ira", un'altra sigla dissidente del gruppo repubblicano che per un trentennio ha insanguinato l'Ulster. "Fin quando ci sara' un coinvolgimento britannico in Irlanda, gli attentati continueranno", ha dichiarato un portavoce di "Continuity Ira".
    L'attentato riporta alla mente i 30 anni di violenze tra militanti cattolici indipendentisti e unionisti protestanti, che hanno fatto 3.500 morti tra il 1969 e il 1998, anno in cui sono stati siglati gli accordi di pace del Venerdì Santo tra il leader repubblicano Gerry Adams e quello unionista David Trimble con la mediazione dell'allora premier britannico Tony Blair. Nel 2007 un'altra tappa storica, con la costituzione del primo governo autonomo condiviso tra le due fazioni, con la presenza del protestante John Hume e del cattolico indipendentista Martin McGuinness. Ma negli ultimi tempi le tensioni sono tornate a galla, e la scorsa settimana il capo della polizia dell'Irlanda del Nord ha chiesto all'intelligence britannica di intensificare le indagini per una crescita di attività tra i dissidenti repubblicani. In risposta il Sinn Fein, ex braccio armato dell'IRA, ha ammonito il governo che portare altri soldati avrebbe potuto sembrare una provocazione verso i cattolici.

    10/03/09

    USA - Il lettore che fa discutere

    La nuova invenzione di Amazon si chiama Kindle 2 ed è un lettore digitale comprensivo di un sintetizzatore vocale in grado di leggere ad alta voce libri, articoli e blog. Si tratta ancora di un progetto sperimentale, ma chi l'ha provato sostiene che sia il miglior sintetizzatore vocale mai sentito.
    Questa svolta tecnologica che unisce in uno stesso strumento la possibilità di leggere un e-book e di ascoltarlo, crea però problemi a livello di diritti d'autore. L'Author's Guild ha infatti ricordato che quando vengono ceduti i diritti per un e-book, questi non contemplano anche i diritti audio, che solitamente vengono venduti a parte, ad esempio per gli audiolibri.
    Il dibattito si è fatto acceso, ma la posizione della Author's Guild non ha suscitato approvazioni unanime dagli scrittori, anzi alcuni, come Neil Gaiman, hanno dato il benvenuto a queste nuova funzione.
    Ancora è presto per sapere come andranno le cose, ma se questo sintetizzatore avrà successo è molto probabile che i contratti si arricchiranno di una nuova clausola.
    Per quanto Kindle 2 sia all'avanguardia, le voci sintetiche non possono (ancora) competere con quelle umane, e quindi con gli attori che interpretano gli audiolibri, ma per cercare di colmare il gap, il nuovo strumento prevede una particolare funzione che permette di scegliere se avere un solo narratore o se cambiare voce, passando da una maschile ad una femminile.
    Per il momento Kindle 2 ha una scelta limitata di voci, ma è facile immaginare che in breve tempo i "voice fonts" diventeranno uno dei punti di forza di questi e-book reader, con la possibilità di personalizzare ogni lettore con le voci di persone care, o anche di ricreare voci di personaggi famosi, cosa che creerebbe un nuovo livello di problemi di diritti d'autore.
    Per il momento, però, l'Author's Guild è intenta a discutere sui diritti d'autore per le voci sintetiche, e se un autore vivente oggi può ritenere una seccatura pensare a questi particolari, fra qualche decennio potrà pentirsi di non aver venduto a parte i diritti per la lettura "sintetica" delle proprie opere.

    Fonte: CNN

    09/03/09

    USA - Obama disposto a trattare con i talebani

    In un'intervista con il "New York Times", il presidente Obama ha ammesso che gli Usa non stanno vincendo la guerra in Afghanistan, e che per risolvere la situazione si potrebbe applicare anche lì la cosiddetta "dottrina Petraeus", che in Iraq ha permesso di venire a patti con le milizie sunnite. Nel caso afghano, si tratterebbe di trattare con le frange moderate dei talebani, un'ipotesi sposata con favore anche dal presidente Karzai.
    Obama ha spiegato come il dialogo abbia permesso di togliere alcuni insurrezionalisti iracheni dalle grinfie di Al Qaeda istituzionalizzandoli nel quadro politico, e ha previsto che possa funzionare anche in Afghanistan assieme con l'aumento delle truppe (17.000 soldati si aggiungeranno a quelli già presenti, in parte spostandoli dall'Iraq).
    "La situazione in Afghanistan è più complicata che in Iraq" ha ammesso nell'intervista "ci sono regioni meno controllate e c'è una lunga storia di di forti contrapposizioni tra tribù, tribù che sono molteplici e che spesso operano per scopi contrapposti.
    Gli strateghi americani dovranno a questo punto iniziare a identificare quali membri dei talebani potrebbero rientrare in un piano di pacificazione nazionale, un compito non facile in un paese senza legge e con molteplici feudi di insurrezione.
    La situazione è complicata anche dal ruolo del Pakistan, il cui governo è stato aspramente criticato da Kabul e dagli americani per proprio per aver stretto accordi con alcuni leader locali talebani nella valle dello Swat, una zona in cui sono state imposte le leggi islamiche. Il Pakistan ha assicurato di non aver stretto patti con i talebani ma di aver cercato di mediare tra i talebani e gli islamici locali.
    Nell'intervista, Obama ha anche parlato della cattura di terroristi all'estero, e anche in paesi che potrebbero non voler collaborare con gli Usa "Ci potrebbero essere situazioni - e sottolineo il condizionale, perchè ancora non abbiamo stabilito niente - in cui, mettiamo che ci sia un noto membro di Al Qaeda che viene avvistato in un paese con cui non abbiamo accordi di estradizione o che potrebbe non volerlo perseguire. Penso che dobbiamo prendere in considerazione questo tipo di scenario" ribadendo più tardi che l'America "non tortura", e che tutti i detenuti in mano statunitense devono vedersi riconosciuto tramuite l'habeas corpus il diritto a rispondere alle accuse.
    Alle accuse di non aver preso abbastanza le distanze dalla dottrina di Bush e della CIA di Hayden sulle detenzioni di presunti terroristi, Obama ha spiegato che erano stati proprio Bush e la CIA, negli ultimi anni, a tornare indietro e rinunciare a molte delle decisioni prese sull'onda dell'11 settembre 2001.

    Fonte: New York Times

    07/03/09

    Diario della settimana

    Spagna: I partiti nazionalisti hanno perso la maggioranza assoluta al parlamento regionale basco, secondo i risultati definitivi delle elezioni diffusi in serata a Vitoria. È la prima volta dalla fine del franchismo. Il Partito nazionalista moderato Pnv ottiene 30 seggi su 75, il Partito socialista basco (Pse) 24, il Partito popolare 13, Ea due, Eb uno, Aralar quattro, l'Upyd uno. Tutti insieme i partiti nazionalisti (Pnv, Ea, Eb, Aralar), con 37 seggi, non raggiungono la maggioranza assoluta, cosa che fanno invece i tre partiti "centralisti" (Pse, Pp e Upyd) con 38 seggi.
    Per il premier Zapatero le cose non sono andate altrettanto bene in Galizia, l'altra regione in cui si votava nello scorso fine settimana. Il presidente uscente della giunta galiziana, il socialista Emilio Perez Tourino, ha ammesso la sua sconfitta, congratulandosi con il rivale Alberto Nunez Feijoo per la maggioranza assoluta ottenuta con il suo Partito Popolare. Si tratta di un colpo basso per Zapatero, alla prima sconfitta elettorale da quando ha conquistato il potere.

    Austria: la tornata elettorale in Carinzia si è conclusa con un trionfo postumo per Joerg Haider, morto cinque mesi fa in un incidente stradale. Il suo partito infatti, la Bzoe (Lega per il futuro del'Austria, partito di estrema destra) ha ottenuto ben il 45,48% dei voti, andando a migliorare il risultato ottenuto dal suo defunto leader nel 2004, il 42,4%, con il suo ex partito Fpoe (liberal nazionali) quando ancora non era stato attuato lo scisma che portò Haider a staccarsi e a dar vita per l'appunto la Bzoe. Un risultato fondamentale, che apporta nuova linfa a un partito che con il passaggio del testimone a Gerhart Doerfler, nuovo leader e governatore della Carinzia, rischiava in caso di sconfitta di scomparire dalla scena politica austriaca.

    USA: Barack Obama ha annunciato che sarà Kathleen Sebelius ad occupare il posto di Segretario alla Salute lasciato libero da Tom Daschle. La Sebelius è attualmente la governatrice del Kansas, ha fatto campagna elettorale per Obama ed era anche in lizza per la vicepresidenza. La sua nomina ha suscitato subito le critiche della destra religiosa, preoccupata per le posizioni della Sebelius a favore dell'aborto. Nonostante sia una cattolica praticante e abbia affermato di essere personalmente contraria all'aborto, la Sebelius durante il suo mandato da governatrice ha strenuamente sostenuto politiche pro-choice.

    Colombia: uno scandalo sta scuotendo la presidenza di Alvaro Uribe, uno scandalo che per certi versi ricorda molto il Watergate. Il Das, il servizio di intelligence civile che prende ordini direttamente dal presidente, ha effettuato negli ultimi mesi un gran numero di intercettazioni illegali ai danni degli oppositori di Uribe (magistrati, giornalisti, politici dell'opposizione) ma anche di membri stessi del governo.
    Lo scandalo è venuto fuori grazie a una "gola profonda" del Das, che ha raccontato tutto alla rivista "Semana". L'aspetto divertente è che molti dei funzionari sono finiti nella lista degli intercettati per aver chiesto come favore al Das una intercettazione illegale verso qualche avversario. Questo ha creato una rete pressochè inestricabile di intercettazioni illegali.

    Israele: il leader del partito di destra radicale Ysrael Beitenu, Avigdor Lieberman, sara' il nuovo ministro degli Esteri di Israele,. Sono indiscrezioni raccolte dal quotidiano Maariv. Un'intesa in merito e' giunta la scorsa notte, secondo il giornale, in un incontro fra Lieberman e il premier designato Netanyahu (Likud). Il 'numero due' del partito Uzi Landau, sara' ministro per la sicurezza interna e il ministro della giustizia Daniel Friedman (indipendente) sara' confermato in carica.

    06/03/09

    Sudan - Il mondo diviso sul mandato d'arresto ad al-Bashir

    Il mandato d'arresto chiesto due giorni da dal Tribunale internazionale dell'Aia contro il dittatore del Sudan Omar al-Bashir per i crimini contro l'umanità in Darfur solleva enormi problemi non solo per i complicati giochi di equilibri internazionali attorno allo stato africano, ma anche perchè, trattandosi del primo mandato d'arresto per un presidente ancora in carica, non è ben chiaro quale sarà la procedura da seguire.
    In parole povere, chi è che arresterà al-Bashir? Nessuno ha ancora saputo dare una risposta, senza cui il provvedimento preso dal Tribunale internazionale rischia di rimanere solo una provocazione che ha spaccato la comunità internazionale, con la Cina che ha protestato formalmente con l'Onu prendendo le difese del sanguinario dittatore sudanese. Il governo di Pechino "si augura" che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu chieda alla Corte internazionale di «sospendere il processo" contro il presidente sudanese Omar al-Bashir, esprimendo "rammarico e preoccupazione che possa peggiorare la situazione in Darfur". Qin Gang rileva tra l'altro che "la Cina si oppone a qualsiasi azione che possa vanificare gli sforzi per la pace in Darfur e in Sudan".
    Oltre alla Cina, da sempre alleata del Sudan del cui petrolio è la principale acquirente, sono arrivate proteste da grandi Paesi arabi islamicicome l'Egitto e lo Yemen, dalla Conferenza islamica e dalla Lega araba. Anche il Cairo, come Pechino, chiederà la sospensione del mandato al Consiglio di sicurezza. La Lega araba, per bocca del portavoce Amr Moussa, ha espresso "preoccupazione per la stabilità del Darfur". La Russia parla di "decisione intempestiva".
    Ma anche una voce decisamente equilibrata e al di sopra di ogni sospetto come quella del presidente dell'assemblea generale dell'Onu, il nicaraguense Miguel d'Escoto Brockmann (lo abbiamo visto di recente ospite del Festival di Sanremo), si è levata contro l'Aia, definendo il mandato d'arreso "una decisione che ritengo motivata più da considerazioni politiche che per la causa della giustizia".
    Dal canto suo, al-Bashir non sembra preoccupato dell'accaduto. Migliaia di persone sono scese in piazza a sostegno del presidente, e lui stesso si è unito alle manifestazioni danzando e parlando alla folla, lasciandosi andare a dichiarazioni minacciose nei confronti degli Usa e di Israele, accusati di essere i mandanti dell'azione. Successivamente, ha fatto espellere dal paese diplomatici e funzionari di organizzazioni internazionali.
    Omar al-Bashir è arrivato al potere in Sudan nel 1989 con un colpo di stato. Nel 1990 il regime di Bashir accoglie volontari iraniani, poi si schiera dalla parte di Saddam Hussein, al momento dell’invasione del Kuwait. Tra 1991 e 1996 ospita l'allora sconosciuto Osama Bin Laden. Nel 2002 si tocca la quota di 2 milioni di vittime civili dall'inizio delle ostilità interne nel 1983, ma vengono anche ripresi i negoziati di pace tra nord e sud. Nel 2005 si firma l'accordo: al Sud sono concessi sei anni di autonomia, dopo di che un referendum potrà decidere l’eventuale secessione. Se il Sudan resterà unito, i governativi e i ribelli del Sud confluiranno in un solo esercito di 39.000 uomini. Gli introiti del petrolio saranno divisi al 50 per cento. Gli uomini designati dal governo avranno il 70 per cento dei posti pubblici nell’amministrazione centrale e il 55 per cento in quelle locali del Sud; gli uomini designati dai “sudisti” avranno il 30 per cento a livello nazionale e il 45 per cento a livello locale. La sharia potrà essere introdotta al Sud solo su decisione di un’assemblea elettiva. Ma per un genocidio cui si è posto fine al Sud, un altro ne inizia dal 26 febbraio 2003 all’Ovest, nel Darfur. Non più cristiani e animisti contro musulmani, ma contadini neri musulmani contro altri musulmani che in realtà sono neri anche loro, ma che essendo arabofoni e pastori si considerano arabi. (Fonte: L'Occidentale).
    Nel 2011 quindi il referendum potrà decidere se il Sudan resterà unito, lo scopo per cui si è adoperato finora al-Bashir, che difficilmente accetterà un esito contrario.

    05/03/09

    L'Aia - Apre il tribunale per l'assassinio di Hariri

    A quattro anni dall'assassinio dell'ex primo ministro libanese Rafik Hariri, il tribunale speciale delle Nazioni Unite si è riunito a L'Aia per processare i colpevoli.
    Il 14 febbraio 2005 un potente ordigno posizionato su una delle strade principali di Beirut esplose al passaggio dell'auto blindata di Hariri, non lasciando scampo neè al leader politico, nè ad altre 22 persone che si trovavano a passare nei dintorni.
    Le indagini in Libano hanno portato all'arresto di quattro generali, ma sia in Libano che tra gli inquirenti dell'Onu c'è la certezza che il mandante del delitto sia la Siria, intenzionata a rafforzare la propria influenza sul Libano, anche se mancano le prove e Damasco ha sempre negato.
    Il tribunale sarà composto da 11 giudici, le cui identità sono mantenute segrete per la loro sicurezza, e il pubblico ministero, il canadese Daniel Bellemare ha spiegato che il processo non durerà meno di quattro o cinque anni, ma potrebbe prolungarsi anche fino a dieci anni.
    Bellemare ha, per cominciare, chiesto alle autorità libanesi di consegnare al tribunale speciale i quattro imputati - attualmente detenuti in patria - che all'epoca dell'attentato comandavano la polizia, l'intelligenze e un'unità d'elite dell'esercito. Altre tre persone sospettate di complicità sono state recentemente rilasciate su cauzione.
    L'inaugurazione del tribunale è stata seguita con emozione a Beirut dove decine di persone si sono riunite per deporre fiori sulla tomba di Hariri e nel luogo dell'attentato. May Chidiac, la giornalista che ha perso un braccio e una gamba in un attentato nel settembre 2005, era accanto al mausoleo di Hariri e ha dichiarato in lacrime "questo e' un giorno storico per i Libano", guardando la cerimonia dell'Aja trasmessa su un maxi schermo.
    Il tribunale speciale per l'assassinio dell'ex premier libanese Rafik Hariri "mettera' fine all'impunita' in Libano" ha dichiarato il primo ministro libanese Fouad Siniora in un'intervista esclusiva concessa all'agenzia stampa tedesca Dpa. Non solo il tribunale scoprira' i responsabili dell'assassinio, "ma inaugurera' una nuova era di giustizia in Libano", assicura il primo ministro a lungo alleato e amico personale del leader ucciso. "Posso dire oggi che malgrado il dolore per la perdita del defunto premier, provo ora un sentimento di gioia nel vedere il giorno del lancio del tribunale", prosegue Siniora, che dice di volere "l'intera verita' e nient'altro che la verita'". Il primo ministro ha assicurato che il suo governo cooperera' con qualsiasi richiesta di trasferimento di sospetti dal Libano, perche' cio' "e' nel miglior interesse" del paese. Tutti i documenti relativi all'indagine, ha aggiunto, sono stati gia' trasferiti la settimana scorsa in Olanda, sede del tribunale.

    Fonte: CNN, The Guardian

    04/03/09

    Vaticano - Il Papa dispensa l'ultraconservatore Wagner

    La notizia della nomina del sacerdote Gerhard Wagner a vescovo ausiliario di Linz negli scorsi giorni aveva suscitato tumulti nell'episcopato austriaco e persino nella curia Vaticana. Wagner è infatti un ultraconservatore inviso alle frange progressiste, protagonista di dure invettive contro gli omosessuali ("si possono curare"), contro Harry Potter ("contiene elementi di satanismo") e i costumi immorali di un’America abortista e senza Dio "l'uragano Katrina ha distrutto non solo i nightclub e i bordelli, ma anche le cinque cliniche cittadine dove si pratica l'aborto"). I vescovi austriaci, guidati dall'arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn (che pure è considerato un prelato conservatore, e nel 2005 si è fatto notare per un'intervista al "New York Times" in cui definiva la teoria dell'evoluzione "un'ideologia"), hanno indetto una riunione d'urgenza per protestare contro la decisione di Papa Benedetto XVI di affidare un incarico così prestigioso ad un prelato tanto contestato. La riunione è stata provocata anche dalla delicata situazione della chiesa cattolica in Austria, dopo che alcune recenti dichiarazioni omofobe da parte dello stesso Wagner e del vescovo di Feldkirch, Elmar Fischer, avevano creato irritazione nella comunità dei fedeli: "i cattolici hanno diritto a pretendere che noi facciamo del nostro meglio per superare la crisi", ha detto Schönborn. Le attuali tensioni nella Chiesa, hanno prodotto irritazione e rassegnazione, ha ammesso il porporato che si è anche appellato a trovare il modo per "limitare i danni". Tensioni che si vanno ad aggiungere ai malumori espressi dallo stesso Schoenborn per la revoca della scomunica al vescovo lefebvriano negazionista Williamson.
    Dopo la convocazione della riunione Wagner si è visto costretto a farsi da parte, e dal Vaticano è arrivato il via libera con la formula tradizionale della "dispensa": "Il Santo Padre ha dispensato il reverendo monsignor Gerhard Wagner dall’accettare l’ufficio di vescovo ausiliare di Linz". Il pontefice ha così autorizzato Wagner a dimettersi, accogliendo così una sua lettera scritta sull’onda delle pressioni ricevute. Il sacerdote aveva ammesso di essersi dimesso «nell'interesse e per il bene della Chiesa» alle luce delle pesanti critiche, previa consultazione col vescovo di Linz.
    I vescovi austriaci hanno accolto con favore la decisione e, in una nota, hanno detto di sperare ''che si riesca a migliorare gli insufficienti processi comunicativi anche in Vaticano, in modo che il servizio universale del Papa non venga coperto da ombre".
    Quanto alla ''questione della nomina dei vescovi'', si legge nella lettera, essa ''e' cosi' significativa, perche' a meta' degli anni Ottanta in Austria essa e' stata legata a parecchi problemi. Troppe sono state le controversie legate alla nomina di vescovi, troppo dolorosi i conflitti e le crepe esplose nella Chiesa. Per questo motivo c'e' tanta sensibilita' in materia. E' fuori questione che al Papa spetta la libera nomina dei vescovi. I vescovi - prosegue il testo - non desiderano alcun ritorno al passato, nel quale, come accadeva nel 1918, era il Kaiser a nominare i vescovi. Ne' un 'voto popolare' dei vescovi eviterebbe conflitti e partigianerie. Noi vescovi siamo convinti che il processo di scelta e di esame dei candidati previsto dal diritto ecclesiastico da' buoni risultati se questo processo viene effettivamente viene rispettato. Perche' prima che il Santo Padre prenda l'ultima decisione, ci devono essere fondamenti affidabili e ampiamente provati sui quali egli possa appoggiarsi''.
    Il caso Wagner assomiglia, anche se per motivi opposti, alla vicenda del vescovo polacco Wielgus. Nominato da Papa Ratzinger nuovo arcivescovo di Varsavia nel gennaio 2007, fu costretto alle dimissioni poco prima di prendere possesso della cattedrale per avere collaborato, in passato, con il regime comunista.

    Fonte: Ticinonews, Il Messaggero

    03/03/09

    Intercettazioni, Skype collabora

    Skype, il software usato per le telefonate via internet con il protocollo VoIP, non sarà più una zona franca per i criminali di tutto il mondo. Dopo un'inchiesta di Repubblica che aveva messo in evidenza come "le comunicazioni fatte tra due pc attraverso Skype non possono essere in alcun modo intercettate dalla polizia, blindate da uno dei software più misteriosi che ci siano sulla rete e da un meccanismo legale invulnerabile", e dopo le reiterate richieste da parte di Eurojust, l'agenzia europea per il coordinamento delle indagini giudiziarie tra gli Stati dell’Unione, che aveva aperto un'indagine in tutte le nazioni appartenenti all’Ue.
    La società estone proprietaria di Skype (con sede legale però in Lussemburgo) annuncia di essere pronta a lavorare fianco a fianco di Eurojust in un prossimo futuro. Già la prossima settimana è previsto un incontro in cui saranno coinvolti non solo i vertici Skype, ma anche tutti gli stati membri dell’Unione Europea, nonché la task force predisposta dal ministro degli Interni italiano Roberto Maroni ed esponenti dell’Antimafia. Eurojust preme per ottenere la concessione degli algoritmi e dei codici che permettano ai tecnici delle procure di superare i sistemi di sicurezza di Skype – che ormai hanno raggiunto livelli elevatissimi - e decifrare i segnali digitali in modo tale da permettere agli inquirenti di ascoltare le telefonate.
    Tutto ciò che viene detto su Skype, infatti, viene codificato in tanti pacchetti di dati digitali che viaggiano in rete. I dati vengono criptati in base a un algoritmo segretissimo inventato dai programmatori di Skype, e la procedura di autenticazione da parte degli utenti è invulnerabile, perché il software genera password monouso temporanee ogni volta che si avvia una comunicazione. Ciò rende impossibile agli investigatori ogni tentativo di intercettazione, a meno di non possedere le chiavi di decrittazione. I criminali di tutto il mondo non hanno impiegato molto ad accorgersi di questa particolarità di Skype, che rapidamente è diventato il mezzo preferito per le transazioni illegali.

    02/03/09

    USA - Via dall'Iraq nel 2010

    Parlando ai Marines di Camp Lejeune, in North Carolina, il presidente Obama ha spiegato il suo piano di ritiro dall'Iraq, che si compirà per la maggior parte entro l'agosto del 2010, per poi completarsi del tutto nel 2011.
    "Ci sono degli americani che vogliono rimanere in Iraq a lungo, e altri che se ne vogliono andare velocemente".
    Tra questi ultimi ci sono soprattutto i compagni di partito di Obama, e lui stesso aveva assicurato che il ritiro si sarebbe compiuto entro 16 mesi dal suo insediamento. Dopo aver discusso con i vertici militari, Obama è arrivato al compromesso di completare la maggior parte del ritiro dei 142.000 soldati entro 18 mesi, lasciando però un numero di militari compreso tra 35.000 e 50.000 ancora per qualche mese con la specifica missione di preparare le forze di sicurezza irakene, di proteggere i diplomatici e i civili americani e di svolgere compiti di antiterrorismo. Questo residuo di truppe verrà gradualmente ritirato nel corso del 2011, e alla fine dell'anno non dovrebbero più esserci truppe americane sul suolo dell'Iraq.
    Ancora da stabilire la data di inizio del ritiro, ma a questo punto è probabile che, per ragioni di sicurezza, si attendano le elezioni irakene del prossimo dicembre.
    Una parte delle truppe ritirate, circa 17.000 soldati, verrà trasferita in Afghanista, destinato a diventare il nuovo fronte principale della lotta al terrorismo. Le altre truppe rientreranno in patria e questo permetterà a Obama di ridurre il budget per le spese militari, cosa che lo aiuterà a mantenere la promessa di dimezzare il deficit entro il 2013. Obama intende comunque ingrandire le forze armate e dedicare nuove risorse alle cure mediche e psicologiche dei veterani, senza tagliare le spese per gli armamenti. Il nuovo budget del dipartimento della Difesa comporterà così una crescita del 4 percento, fino a 533,7 miliardi di dollari. In aggiunta, per gli sforzi bellici sono già stati richiesti al Congresso altri 200 miliardi per il prossimo anno e mezzo. Se fosse un Paese, il Pentagono sarebbe la 17esima economia mondiale: spende 21mila dollari al secondo (fonte: Peace Reporter).
    Il piano è comunque suscettibile di modifiche sulla base delle richieste delle autorità irakene. Anche Bush aveva parlato della possibilità di ritirarsi dall'Iraq entro il 2011, ma non aveva mai avviato nessuna trattativa in merito, e comunque la sua amministrazione aveva più volte reso chiaro che il ritiro non sarebbe stato totale.
    Af agosto 2010 le truppe americane saranno in Iraq da circa sette anni e mezzo, una durata inferiore solo alla guerra in Vietnam e a quella in Afghanistan.