Il Giramondo su Twitter

    follow me on Twitter

    22/06/09

    L'Iran e il fattore Obama

    di Helene Cooper (New York Times)

    "Non vogliamo che il regime cada. Vogliamo che i nostri voti contino, perchè vogliamo riforme, vogliamo nuovi rapporti con il mondo" - Ali Reza, attore iraniano, a margine delle proteste a Teheran.
    C'è davvero un effetto Obama, per quando invisibile? Mentre a Teheran continuano le proteste, a Washington ci si interroga. Da un lato una manciata di sostenitori di Bush ritiene che i manifestanti iraniani siano stati galvanizzati dall'impegno dell'ex presidente Usa a favore del diffondersi della democrazia, seguendo l'esempio della nuova democrazia sciita in Iraq. Dall'altro lato, i sostenitori del presidente Obama ritengono che la semplice elezione del nuovo presidente americano abbia dato il via alla richiesta di cambiamento in Iran.
    Entrambe queste scuole di pensiero danno agli Usa un ruolo importante come epicentro di una vicenda in divenire, che per molti esperti non riguarda affatto l'America.
    "Dobbiamo essere umili e capire cosa sta succedendo in Iran" ha affermato Nicholas Burns, sottosegretario di Stato nell'amministrazione Bush "C'è stata una rabbia montante contro Ahmadinejad in questi anni".
    Ma c'è qualcos'altro: la voglia di molti iraniani di stabilire nuovi rapporti con il resto del mondo. Questo è risultato evidente nelle manifestazioni in favore di Mir Hussein Moussavi, sotto lo slogan "Un nuovo saluto al mondo".
    "Molti funzionari iraniani hanno capito che la politica di "Morte all'America" della rivoluzione del 1979 ormai è agli sgoccioli, e che l'Iran non potrà esprimere tutto il suo potenziale finchè rimarrà cotnrapposto agli Usa" spiega Karim Sadjapour, del Carnegie Endowment for International Peace. "Se gli estremisti al governo iraniano sono incapaci di avere relazioni amichevoli con un presidente americano che si chiama Barack Hussein Obama, che predica il rispetto reciproco e fa gli auguri per la festa del Nowruz, è chiaro che il problema è a Teheran, non a Washington."
    Durante gli anni di Bush, il regime Iraniano ha avuto gioco facile nel coalizzare il popolo contro un nemico comune, il presidente Bush, che definì l'Iran una "colonna dell'asse del male" in un discorso che alienò i consensi di molti riformisti a cui Washington stava strizzando l'occhio. Come risultato, gli iraniani misero da parte le critiche verso il proprio governo per unirsi contro il nemico comune. I riformisti iraniani chiesero agli Usa di smettere di sostenerli apertamente, perchè questo li screditava.
    Obama sembra aver preso sul serio quel consiglio - anche troppo, secondo alcuni Democratici. Le sue dichiarazioni sulla situazione in Iran sono state così distaccate e vaghe che i Repubblicani lo hanno subito accusato di non avere abbastanza a cuore la difesa della democrazia.
    D'altro canto, però Obama ha già messo in gioco un elemento che i riformisti possono usare nel loro dibattito interno, ovvero la consapevolezza che questo è il momento migliore per cercare nuove relazioni con l'America.[...]
    La risposta di Khamenei e Ahmadinejad alle aperture di Obama è stata il silenzio. Afshin Molavi, esperto della New America Foundation, afferma che la stragrande maggioranza degli iraniani vorrebbe avere migliori rapporti con gli Usa, e in particolare la classe media. Anche se Moussavi condivide il programma nucleare di Ahmadinejad, il ceto medio iraniano lo ritiene più adatto a stringere relazioni migliori con gli Stati Uniti.
    Nella sua campagna elettorale, Moussavi ha fatto sue molte tattiche di Obama. Ha promesso un ripristino dei rapporti con gli Usa, ha usato poster di lui e sua moglie e ha assunto giovani consiglieri che avevano studiato la campagna di Obama. Ha anche usato i social network di Internet, gli stessi mezzi che i sostenitori hanno usato dopo le elezioni per promuovere le loro proteste.

    Copyright 2009 The New York Times Company

    Nessun commento:

    Posta un commento