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    27/05/09

    USA - Una ispanica alla Corte Suprema

    Dopo settimane di attesa per la nomina del nuovo giudice della Corte Suprema, il presidente Obama ha mantenuto la promessa di una scelta all'insegna della novità, nominando la 54enne Sonia Sotomayor, seconda donna e primo giudice ispanico dell'Alta Corte.
    La nomina proposta da Obama deve ora essere approvata in Senato, dove si preannuncia battaglia tra repubblicani e democratici, anche se questi ultimi hanno i numeri per aggirare qualunque manovra ostruzionistica. Anche se non dovrebbero esserci impedimenti (scandali, dichiarazioni fuori luogo o comportamenti scorretti) nel passato della Sotomayor tali da pregiudicare la conferma, storicamente le sedute confirmative per la Corte Suprema sono terreno di scontro anche duro, e le sorprese sono sempre dietro l'angolo. La Sotomayor, che è stata per oltre un decennio giudice presso la corte d’appello di New York, dovrebbe rimpiazzare David H. Souter, giudice in procinto di andare in pensione ed esponente dell'ala "liberal" come anche la Sotomayor. Il "New York Times" sottolinea come la storia personale della Sotomayor rispecchi molto quella di Obama e la sua nomina rappresenta per il presidente americano un tentativo di ampliare il background culturale dei giudici dell’Alta corte. Orfana del padre all’età di 9 anni, la Sotomayor è stata cresciuta dalla madre, che con grandi sacrifici è riuscita ad assicurare a lei e a suo fratello un’istruzione.
    Fra le sue sentenze più memorabili, quella con cui sostenne i diritti dei giocatori di baseball contro i proprietari delle grandi squadre; gli atleti erano in sciopero e avevano fatto saltare il campionato. Come giudice d'appello, si schierò dalla parte del comune di New Haven in Connecticut in una causa per discriminazione: un gruppo di vigili del fuoco bianchi aveva fatto ricorso dopo che il comune aveva annullato un concorso dove le minoranze non avevano ottenuto punteggi abbastanza alti. Il caso ora si trova di fronte alla Corte suprema. All'udienza di conferma in Senato, oltre dieci anni fa, Sotomayor disse "Non penso sia lecito piegare la Costituzione, in qualunque circostanza. Dice quello che dice. Dovremmo renderle onore". Negli anni Ottanta, quando lavorava presso lo studio legale Pavia and Harcourt di New York, la Sotomayor difese la Fiat.
    La Corte Suprema è l'unico tribunale specificamente previsto dalla Costituzione degli Stati Uniti, e si occupa di original jurisdiction, ovvero giudicando in prima e unica istanza controversie specificamente indicate dalla legge, e di appellate jurisdiction, ovvero di impugnazioni di una sentenza emessa da una corte inferiore, con i limiti e le eccezioni previste dal Congresso. Nella giurisdizione d'appello la Corte può decidere su richiesta di un giudice federale che, chiamato ad applicare una legge, l'abbia considerata in contrasto con la Costituzione, con una legge federale od un trattato stipulato dalla Federazione; da questo punto di vista la Corte Suprema è il giudice della costituzionalità delle leggi e del rispetto della gerarchia delle fonti.

    26/05/09

    Corea del Nord: si prepara la successione

    Il Wall Street Journal riporta che, secondo fondi dell'intelligence americana, il leader nordcoreano Kim Jong Il ha iniziato una fase di transizione per cedere il potere, dopo l'infarto che lo ha colpito l'anno scorso.
    Sarebbe proprio questa situazione incerta a Pyongyang ad aver provocato una maggiore aggressività della Corea del Nord in politica estera, dopo le aperture dello scorso anno. Il paese ha infatti ritirato l'impegno a mettere fine al programma nucleare di arricchimento dell'uranio e lo scorso aprile ha lanciato un nuovo tipo di missile (l'esperimento è poi fallito), che secondo le intelligence occidentali sarebbe sintomo di un progetto che porterà alla costruzione di missili in grado di supportare e trasportare testate nucleari. Nei prossimi mesi Pyongyang dovrebbe effettuare un nuovo test.
    Da quanto è salito al potere nel 1994, succedendo al padre Kim Il Sung, Kim Jong Il non ha mai cambiato linea politica in modo così ripetuto, e a Washington è opinione condivisa che il ritorno alla linea dura sia causato da giochi di potere dell'elite nordcoreana in vista della successione. Nonostante il dittatore abbia chiaramente indicato il suo figlio più piccolo Kim Jong Un come suo erede, la linea di successione non è così scontata, così come non è scontato che sia proprio Kim Jong Il a detenere le leve del potere in questi mesi.
    Uno dei segnali di questa incertezza è dato dalla rapida ascesa politica di Jang Seong Taek, marito della sorella minore del dittatore, che lo scorso mese è salito ai vertici della Difesa Nazionale, la più potente istituzione nordcoreana, formata dall'esercito e dal Partito dei Lavoratori, e che finora è sempre stata guidata da Kim Jong Il. Se la salute del dittatore dovesse peggiorare in tempi brevi, Taek potrebbe diventare una sorta di reggente in attesa che il 26 enne Kim Jong Un prenda il potere. Questo ruolo sarebbe stato assegnato a Taek dallo stesso dittatore, che finora non aveva mai voluto nessuno a contendergli il potere.
    Kim Jong Il avrebbe indicato come successore il figlio minore Kim Jong Un perchè lo vede più in linea con i suoi valori e le sue idee, nonostante il giovane abbia un'educazione europea (ha studiato in Svizzera) e sia fan di popstar occidentali. Oltretutto, è figlio della terza moglie di Kim Jong Il, morta in un incidente stradale nel 2004 e ritenuta la favorita tra le mogli del dittatore.
    Il figlio maggiore del dittatore, Kim Jong Nam, è uscito dalle grazie del padre nel 2001, quando venne fermato e arrestato in Giappone con un falso passaporto dominicano con cui si era introdotto nel paese per visitare Tokyo Disneyland. Il secondo figlio, Kim Young Chol, è invece ritenuto troppo fragile e senza la statura di leader.

    Fonte: Wall Street Journal

    25/05/09

    USA: Obama e la grana Guantanamo

    Trovare una sistemazione per i detenuti più pericolosi del carcere di Guantanamo "sta diventando uno dei nostri problemi piu' grandi". Lo ha ammesso il presidente Barack Obama nel corso di un'intervista alla tv C-Span, in cui ha parlato dell'esigenza di trovare una soluzione "ineccepibile dal punto di vista legale e istituzionale" per processare i detenuti. "Non e' semplice", ha spiegato il presidente americano che non ha risparmiato critiche all'amministrazione Bush che, sull'onda del post 11 settembre, quando "la popolazione era impaurita", affrontò la situazione con "decisioni inadeguate".
    La paura sembra però non essere ancora passata, visto che Obama ha subito dal Senato (in cui pure ha la maggioranza assoluta) la prima sconfitta del suo mandato. Il presidente aveva infatti chiesto alla camera alta del Congresso i fondi per chiudere il carcere di Guantanamo, ma con una votazione a sorpresa il Senato glieli ha negati, con 90 voti contrari e 6 favorevoli.
    Il dato politico è clamoroso per il contesto in cui è maturato: poche ore prima Obama aveva tenuto un ispirato discorso sulla sicurezza nazionale, spinto dal partito che voleva dare ai propri senatori una adeguata copertura contro le prevedibili proteste dei repubblicani. Dopo Obama ha però parlato l'ex vicepresidente Dick Cheney, che ha fatto appello a tutte le paure degli americani del dopo 11 settembre, come se non fossero passati 8 anni dagli attentati di Al Qaeda. Chney ha accusato senza mezzi termini Obama di voler indebolire l'America, e ha paventato la possibilità di nuovi attentati a breve, la cui colpa, è la logica conclusione del suo discorso, sarebbe tutta dell'attuale presidente. In molti hanno imputato al discorso di Cheney il clamoroso dietrofront di molti senatori democratici, mentre i repubblicani hanno votato compatti.
    La bocciatura non è definitiva, e Obama è già tornato alla carica, deciso a mantenere la promessa ma anche a fare tesoro degli errori commessi in questi mesi. L'aver inserito la chiusura di "Gitmo" tra le priorità dei suoi primi mesi di amministrazione l'ha portato a cambiare più volte posizione, annunciando prima di voler trasferire i detenuti nelle carceri federali salvo poi fare marcia indietro chiedendo agli alleati di farsi carico di alcuni di questi prigionieri.
    La ripartenza dei processi ai detenuti dovrebbe facilitare le cose, ma Obama adesso sa che non potrà presentare un altro progetto di chiusura se prima non avrà chiarito al Senato il costo totale dell'operazione, la nuova collocazione dei prigionieri attualmente a Guantanamo e la destinazione dei futuri prigionieri pericolosi. Per fare questo, nonostante la maggioranza al Senato, Obama potrebbe aver bisogno di cercare un accordo bipartisan, mettendo alla prova quell'intento unitario portato avanti in campagna elettorale. Non sono pochi i repubblicani che potrebbero appoggiare una chiusura di Guantanamo, a partire da John McCain, ma ci vorrà un progetto più dettagliato per convincerli.
    "A Guantanamo abbiamo molte persone che avrebbero dovuto essere processate prima, ma non è stato fatto", ha spiegato Obama alla C-Span "in alcuni casi, le prove contro di loro sono state compromesse". Alcuni detenuti "potrebbero essere pericolosi, e in questi casi non possiamo rilasciarli, perciò trovare una soluzione su questa faccenda penso stia diventando uno dei nostri problemi piu' grandi". I detenuti dovranno essere giudicati "da commissioni militari americane e Corti civili" con "un struttura rispettosa dello stato di diritto".

    21/05/09

    Turchia, la nuova meta di Al Sadr

    Non si vedeva in pubblico dal 2007 Muqtada al Sadr, il leader sciita iracheno che nel 2003 con le sue milizie organizzò la più ferrea resistenza alle truppe americane e, in seguito, all'insediamento del nuovo governo.
    Come si ricorderà, fu proprio la chiusura del suo giornale da parte dell'amministrazione provvisoria americana a causare la più grande rivolta popolare in Iraq dopo la fine del regime di Saddam Hussein.
    Dopo una breve alleanza con il governo, nel 2007 si è autoesiliato in Iran, dove a quanto risulta dai rapporti dell'intelligence americana, avrebbe studiato per diventare ayatollah. Ora, dopo aver rifuggito le apparizioni pubbliche per due anni, al Sadr è ricomparso i primi di maggio ad Ankara, dove è stato protagonista di due incontri ufficiali con il presidente Gul e con il premier Erdogan.
    Cosa ha spinto al Sadr in Turchia? Dopo l'incontro non sono stati rilasciati commenti nè comunicati ufficiali (ma la visita, come si vede dalla foto, è stata tutt'altro che segreta). Secondo il quotidiano iracheno Azzaman, che riporta indiscrezioni anonime, argomento dei colloqui fra il leader sciita iracheno e i vertici turchi sarebbero stati la situazione della sicurezza in Iraq e l’evolversi dei rapporti fra i due Paesi.
    Secondo un esponente di spicco del movimento di Sadr, Haidar al-Turfi, Muqtada sarebbe andato in Turchia da Tehran per incontrare una delegazione proveniente da Najaf dove il movimento ha il suo quartier generale. Argomento dei colloqui sarebbe stato il futuro dell’Iraq. Non è escluso, e questa è l'ipotesi più interessante, che al Sadr si stia preparando per le elezioni politiche che si terranno in Iraq tra la fine di quest'anno e l'inizio del 2010, e che quindi abbia iniziato ad allargare la propria base e a farsi di nuovo vedere in pubblico evitando di legare troppo la propria immagine a quella dell'Iran. Il movimento sadrista in passato era legato alla United Iraqi Alliance (guidata dall'attuale premier al Maliki) e ora starebbe cercando nuove alleanze, ma non punterebbe a strutturarsi come partito per non alienarsi il sostegno popolare.
    La visita di Sadr in Turchia, però, ha avuto anche un altro risvolto, legato alla sicurezza e all'economia della regione del Kurdistan iracheno. Sadr si sarebbe offerto come mediatore per la delicata situazione di Kirkuk, contesa tra curdi, arabi e turcomanni ed oggetto di molteplici attentati e scontri nelle ultime settimane.

    20/05/09

    Inghilterra - Si dimette lo Speaker dei Comuni

    In tempi di crisi economica la classe politica deve stare attenta non solo a come gestisce la legislazione, ma anche a come utilizza il proprio stipendio.
    Il mondo politico inglese è in subbiglio per una vicenda che forse da noi meriterebbe solo qualche trafiletto o qualche inchiesta di "Striscia la notizia" o delle "Iene", ma che a Lodra ha scatenato un'indignazione tale da portare alle dimissioni di un ministro, all'espulsione di due membri della Camera dei Comuni dai rispettivi partiti, all'apertura di un'inchiesta su due membri della Camera dei Lord e infine alle dimissioni, per la prima volta nella storia, dello Speaker della Camera dei Comuni.
    Lo Speaker è la terza carica più importante del Regno Unito dopo la Regina e il premier, e l'attuale politico che dal 2000 ricopre la carica, l'indipendente Michael Martin, è una figura conosciutissima in Gran Bretagna, sia pure spesso oggetto di critiche. Il suo comportamento nella gestione della vicenda dei rimborsi spese dei parlamentari è però sembrata rivolta soprattutto a mettere tutto a tacere, scatenando richieste di dimissioni da parte di tutti i partiti del paese.
    Lo scandalo è nato quando il "Daily Telegraph" è riuscito ad entrare in possesso grazie ad una talpa (pagata 150.000 sterline) dei documenti sull'utilizzo del rimborso spese a cui hanno diritto i legislatori britannici in aggiunta al loro "modesto" stipendio di 60.000 sterline l'anno (modesto al confronto di quello dei colleghi italiani, che prendono quasi il doppio). Dall'inchiesta è emerso come moltissimi parlamentari abbiano usato i rimborsi spese ad uso personale e senza alcuno scopo politico: riparazioni di case al mare e piscine, stipendi per giardinieri, rimborsi per lampadine, e persino l'estinzione di un mutuo inesistente. Altri ancora, sfociando nel ridicolo, hanno inserito nelle note spese anche cene al ristorante e acquisti di ogni tipo, dal vino agli assorbenti intimi.
    Il primo a saltare è stato il sottosegretario alla Giustizia Shahid Malik, laburista di origini asiatiche, costretto dal premier Brown a dare le dimissioni dopo che si era scoperto che si era fatto rimborsare, tra le altre cose, un "cinema da casa" e una poltrona per massaggi.
    Il leader dell'opposizione David Cameron ha dal canto suo ordinato ai suoi parlamentari di restituire allo stato tutti i rimborsi spese non utilizzabili per motivi di lavoro.
    Il governo ha messo in cantiere in tempi rapidi una riforma del sistema dei benefit per i parlamentari, anche per sedare la rabbia crescente nel paese, ma proprio a questo punto è intervenuto Michael Martin, che è stato attaccato prima per il mancato controllo sui rimborsi e poi per il tentativo di mettere il silenziatore allo scandalo.
    Paradossalmente, anche se Martin non si è macchiato in prima persona di nessun crimine, sarà quello che ne farà le spese più degli altri, costretto da un'indignazione bipartisan a lasciare la terza poltrona più importante del Regno.

    19/05/09

    USA - Obama parla di aborto a Notre Dame

    Paradossalmente, tra fronti di guerra e forche caudine parlamentari, il momento più difficile della ancor giovane presidenza Obama è arrivato da un'onoreficienza, la laurea honoris causa conferitagli dall'Università Notre Dame dell'Indiana, la più importante università cattolica americana.
    L'invito ad Obama ha causato polemiche tra gli attivisti cattolici, che dopo aver inutilmente provato a far cambiare idea al rettore, rimasto inflessibile, hanno organizzato proteste lungo tutta la giornata dell'evento.
    Alla fine il risultato ha soddisfatto tutti: i cattolici antiabortisti hanno avuto ampio risalto mediatico, i repubblicani hanno potuto sfruttare la scia delle contestazioni ad Obama, mentre il presidente ha saputo evitare la trappola con un discorso pragmatico e non ideologico che ha fatto sembrare pretestuose ed immotivate(e ideologiche) le proteste dei fondamentalisti cattolici. Una minoranza, se si pensa oltretutto che a novembre il 52% del voto cattolico è andato ad Obama, nonostante le sue posizioni pro-choice sull'aborto fossero ben note.
    Obama nel suo discorso ha invitato le diverse parti in causa a mettere da parte la retorica e l'ideologia e cercare un terreno comune di dialogo per arrivare a diminuire il ricorso all'aborto pur senza intaccare il diritto di scelta delle donne.
    Obama non si è tirato indietro e ha risposto direttamente alle contestazioni, dilungandosi sull'aborto come mai aveva fatto in campagna elettorale "Quando apriamo il nostro cuore e la nostra mente a coloro che non la pensano come noi o non credono a ciò in cui crediamo noi, è allora che scopriamo almeno la possibilità di trovare un terreno comune". Obama ha ammesso che le due parti in causa non troveranno mai accordo sull'opportunità che l'aborto sia legale, ma possono concordare sul fatto che la decisione di abortire non debba mai essere frutto di una decisione a cuor leggero, ma di una "dimensione morale e spirituale".
    Accolto da manifestanti e fischi, l'ingresso del presidente nell'aula magna del Notre Dame è stato invece accompagnato da applausi che gli hanno impedito di parlare per due minuti, e hanno ripetutamente interrotto il discorso. In aula erano comunque presenti manifestanti cattolici che esponevano croci gialle con le impronte dei piedi di un neonato. Fuori dall'università, la polizia ha arrestato una trentina dei 200 manifestanti che hanno provato a forzare i blocchi.
    All'inizio del discorso alcuni anziani presenti in sala hanno provato ad interrompere con urla il discorso di Obama, ma dopo poco sono stati accompagnati fuori. Obama, tralasciando il testo scritto, ha detto "Non dobbiamo sfuggire dalle cose che ci mettono a disagio".
    Obama ha invitato i 2.900 laureandi e le loro famiglie a mantenersi fermi in ciò che credono ma, ha aggiunto, "la grande ironia della fede è che ammette necessariamente il dubbio. Questo dubbio deve temprare le nostre passioni, perchè bisogna evitare di essere troppo convinti di avere sempre ragione".

    Fonte: Wall Street Journa

    18/05/09

    Sri Lanka - Si arrendono le tigri Tamil

    Si è conclusa evitando un ulteriore bagno di sangue la già fin troppo cruenta battaglia tra l'esercito regolare dello Sri Lanka e i ribelli delle "Tigri Tamil", ovvero le Tigri per la liberazione della patria Tamil, il gruppo secessionista che per decenni ha combattuto il governo cingalese per conquistare la secessione e fondare una repubblica socialista nel nord est dell'ex Ceylon.
    L'ultima fase della rivolta ha visto l'esercito governativo costringere i ribelli a rifugiarsi nell'ultima fetta del loro territorio ancora in loro possesso. La situazione è stata particolarmente drammatica per la presenza di numerosi civili tamil assieme ai combattenti. Questi civili non sono riusciti a scappare dai territori di battaglia, e molti, secondo il governo di Colombo, sono stati presi come ostaggio dalle Tigri.
    I siti d'informazione vicini ai ribelli hanno denunciato l'uccisione di quasi 2.000 persone negli ultimi tre giorni di combattimenti, e le tragiche condizioni in cui erano costretti i civili e i medici delle organizzazioni internazionali. Quest'ultimo aspetto è stato confermato in parte dalla Croce Rossa, che ha ammesso l'impossibilità di operare nel territorio.
    Il presidente cingalese Mahinda Rajapksa ha rifiutato ogni proposta dell'Onu di una tregua per far evacuare i civili, e ha stretto d'assedio i ribelli superstiti fino a costringerli alla resa. Inizialmente i tamil avevano minacciato un suicidio di massa, poi il movimento ha dichiarato di aver cessato le ostilità contro le truppe governative per "salvare la vita della nostra gente", mettendo così fine a più di 60 anni di lotta armata.
    Dal 1948, da quando l'allora Ceylon ha ottenuto l'indipendenza dalla Gran Bretagna, gli induisti tamil (il 18% della popolazione), è iniziata la lotta, che ha conosciuto un "salto di qualità" nel 1970, con l'inizio della campagna secessionista, e nel 1976 con la fondazione del movimento Ltte da parte di Velupillai Prabhakaran. tra guerre civili e attentati, la rivolta ha ucciso più di 70mila persone, capi di stato e ministri compresi, fino a quest'anno, quando l'esercito ha lanciato l'offensiva finale.
    Anche se le Tigri si sono ufficialmente arrese, il loro capo supremo Prabhakaran è ancora uccel di bosco. Dopo la resa dei ribelli, uno dei responsabili del movimento ha ammesso che il leader è ancora nel nord est del paese ed è pronto a partecipare a un processo di pace. La sorte del capo delle Tigri rimane comunque dubbia: alcuni garantiscono che è vivo con i suoi combattenti, altri pensano che si sia suicidato o sia fuggito. Il ministero della Difesa ha segnalato che le truppe non hanno finora trovato traccia di lui avanzando sul campo.
    Update: Il capo storico dei ribelli separatisti Tigri Tamil (Ltte), Vellupillai Prabhakaran, e' morto, ha detto un responsabile militare cingalese. L'alto responsabile militare, che ha chiesto l'anonimato, ha detto che Prabhakaran e' stato ucciso mentre cercava di fuggire nascosto in un'ambulanza dalla minuscola enclave di meno di un chilometro quadrato dove sono confinate le Tigri Tamil.

    15/05/09

    USA - John Edwards boicottato dal suo staff

    A quasi un anno dalla fine delle primarie democratiche che incoronarono Barack Obama candidato ufficiale alla Casa Bianca, emergono dettagli davvero sorprendenti sulla campagna elettorale di uno dei più accreditati sfidanti dell'attuale presidente, quel John Edwards che dopo essersi candidato alla vicepresidenza nel 2004 ha provato l'anno scorso a fare il terzo incomodo nella sfida tra Obama e la Clinton. Come sappiamo la sua corsa si è interrotta dopo poche settimane dai primi caucus in Iowa, e pochi mesi dopo il suo ritiro Edwards è stato travolto da uno scandalo sessuale dopo che è stata rivelata la sua relazione extraconiugale con una segretaria (mentre sua moglie Elizabeth lotta contro un cancro).
    Adesso il commentatore George Stephanopoulos ha raccontato che molti membri dello staff di Edwards erano a conoscenza della relazione extraconiugale già mesi prima delle primarie e, in un impeto di moralismo, avevano stretto un patto per boicottare la campagna elettorale del loro candidato se Edwards fosse sembrato vicino a conquistare la nomination.
    "Molti di loro si trovarono d'accordo nel dire, in pratica, se le cose si mettono bene e lui sembra ing rado di vincere, noi faremo in modo di mandare tutto all'aria" spiega Stephanopoulos.
    A questo punto molti commentatori americani si stanno chiedendo se in realtà il boicottaggio non sia davvero avvenuto, cosa che spiegherebbe il pessimo risultato di Edwards, che dopo essere arrivato secondo dopo Obama nei caucus dell'Iowa ha collezionato solo batoste, compreso un imbarazzante terzo posto nel suo stato, la South Carolina.
    Inoltre, come fa notare il chief political columnist di "Politico", il comportamento di questi staffer è sorprendente per più di un motivo, innanzitutto perchè il complotto non è certo più etico dell'adulterio, e poi perchè nessuno li obbligava a lavorare per un politico di cui non condividevano il comportamento. Se nel 1992 i collaboratori di Bill Clinton l'avessero pensata in questo modo, Clinton non sarebbe mai arrivato alla Casa Bianca.
    Sarebbe poi curioso sapere in che modo avrebbero voluto boicottare Edwards, dal momento che molte testate repubblicane avevano messo in giro la notizia dell'adulterio già mesi prima.
    E' più intrigante invece il gioco del "what if". Cosa sarebbe successo se Edwards fosse stato boicottato prima dei caucus dell'Iowa e non si fosse presentato? Howard Wolfson, l'ex direttore delle comunicazioni dello staff di Hillary Clinton non ha dubbi sul fatto che le cose sarebbero andate molto diversamente "I nostri elettori e quelli di Edwards erano grossomodo le stesse persone" spiega Wolfson mostrando un sondaggio secondo cui i due terzi di chi votò Edwards in Iowa avrebbe votato Hillary in seconda battuta "Noi avremmo vinto in Iowa e la Clinton avrebbe avuto la strada spianata per la nomination".
    Opinabile, visto che gli elettori di Edwards apprezzarono soprattutto il mea culpa dell'ex senatore a proposito del voto a favore della guerra in Iraq e altri sondaggi mostrano una preferenza di questi elettori per Obama. Ma soprattutto Wolfson ha spiegato che lo staff della Clinton sapeva qualcosa dell'adulterio di Edwards, ma nessuno pensò mai di approfondire o sfruttare questo elemento.
    Marc Abinder, direttore di "The Atlantic", afferma invece che sia lo staff della Clinton che quello di Obama sapevano perfettamente della relazione extraconiugale di Edwards, e soprattutto i collaboratori della Clinton erano particolarmente decisi a non far sparire la notizia dalle pagine dei giornali, anche se poi non ce ne fu bisogno perchè furono gli elettori a decretare la fine politica di Edwards.

    14/05/09

    India - In testa il partito di Sonia Gandhi

    Il partito del Congresso di Sonia Gandhi e' in testa alle elezioni indiane, secondo un exit poll diffuso dalle televisioni indiane. Il partito della Gandhi e i suoi alleati riuniti nella United Progressive Alliance (Upa) avrebbero dai 195 ai 201 seggi; la National Democratic Alliance, guidata dalla destra nazionalista indu' del Bharatiya Janata Party, dai 189 ai 195 seggi. Se cosi' fosse, nessuno dei due grandi schieramenti avrebbe la maggioranza necessaria per governare, 272 seggi (Fonte: Ansa).
    Le elezioni sono durate un intero mese, suddivise in cinque tornate elettorali, e i risultati definitivi sono attesi sono per sabato. Si stima che ben 714 milioni di elettori, dei 750 aventi diritto, abbiano depositato la scheda negli 828mila seggi.
    Il risultato incerto delle elezioni è dovuto anche all'inedita quantità di partiti che si sono presentati ai nastri di partenza: tra questi, i due partiti così detti nazionali, l’India National Congress (Inc) ed il Bharatya Janata Party (Bjp); i tre partiti comunisti che sono ben rappresentati in Kerala e West Bengal e presenti in molti altri stati; i nuovi partiti dei fuori-casta sviluppatisi nell’ultimo ventennio ed al governo nel Bihar ed in Uttar Pradesh (Fonte: Asianews).
    Le due alleanze che prima costituivano il governo, United Progressive Alliance (UPA) e l’opposizione National Democratic Alliance (NDA) si sono praticamente dissolte, con qualche eccezione, ed ogni partito si è presentato da solo all’elettorato.
    Se i sondaggi dovessero essere confermati, al partito della Gandhi toccherà l'onere e l'onore di cercare di mettere insieme una maggioranza per formare il governo per i prossimi cinque anni. Rientrebbero in gioco quindi i partiti minori, e si potrebbe andare incontro ad alleanze eterogenee tra partiti laici e partiti religiosi, come il Bjp, o ad un ritorno al governo dei comunisti, che per quattro anni sono stati al governo col partito del Congresso e poi l’hanno lasciato per protesta contro il patto nucleare con gli Stati Uniti, e ora invece parlano di una possibilità di governo senza Congress e senza Bjp, con un’alleanza coi partiti dei fuori-casta. Oppure i comunisti potrebbero rientrare nel Congress, ma come condizione vorrebbero un nuovo premier al posto di Manmohan Singh.

    13/05/09

    San Marino protesta con l'Italia per la puntata di "Report"

    Incidente diplomatico tra San Marino e Italia. La miccia che ha fatto scattare il caso è la puntata di "Report" andata in onda su Rai 3 domenica scorsa, dal titolo "Il re è nero", dedicata al sistema bancario di San Marino.
    Questa la presentazione della puntata (visionabile sul sito della Rai) scritta dal suo autore Paolo Mondani
    "San Marino è uno stato sovrano tra la provincia di Rimini e quella di Pesaro-Urbino. Lingua ufficiale è l'italiano, quella parlata è il dialetto romagnolo. Non esiste dogana. La Banca d'Italia, da qualche mese, ha imposto ai nostri istituti di credito di trattare le banche sammarinesi come se fossero delle Isole Cayman. Il Moneyval, organismo del Consiglio d'Europa che si occupa di riciclaggio, ha decretato San Marino come stato a rischio. E l'Ocse l'ha infilato nella lista grigia dei paradisi fiscali. Qui il credo si chiama segreto bancario e società anonime. San Marino vuol dire 12 banche e 59 finanziarie. Tra il 1999 e il 2007 il prodotto interno lordo è cresciuto in media del 5,66 per cento l'anno. Ci sono 6 mila imprese, in maggioranza di italiani trasferiti qui per godere dei vantaggi del sistema fiscale. Le banche sammarinesi nel 2001 raccoglievano 9 miliardi di euro l'anno, nel 2007 14 miliardi. Se dividiamo 14 miliardi per i 31 mila abitanti scopriamo che nel 2007 ogni sammarinese ha versato 450 mila euro in una sua banca. E se non è andata così, come è ovvio, vuol dire che molti italiani preferiscono portare qui i loro soldi. Perché?"

    I sanmarinesi non hanno gradito. “Una trasmissione che ha detto falsità, che ha attaccato San Marino, la sua indipendenza e la sua sovranità. Un ufficiale delle Fiamme gialle ha detto cose gravemente false riguardo alla concessione delle rogatorie internazionali da parte di San Marino” A dirlo è il segretario alle Finanze della Repubblica di San Marino, Gabriele Gatti, a conclusione dell'incontro con l'ambasciatore che e' stato convocato dai rappresentanti del governo del Titano. "Abbiamo chiesto all'ambasciatore di rappresentare al governo italiano, alle sedi istituzionali, al comando generale della Guardia di Finanza e alla direzione generale della Rai la nostra indignazione per la trasmissione 'Report', che ha manipolato l'informazione distorcendola".
    Parole dure anche da parte del segretario di Stato per l’Industria, Marco Arzilli:
    “Né la trasmissione di indagine di Milena Gabanelli, né la Guardia di Finanza italiana credo possano fare valutazioni della nostra legislazione. E’ il governo di San Marino a dover scegliere e in Tv non solo non è stato detto che il governo è cambiato da poco, ma nemmeno che noi abbiamo potenziato i controlli e che abbiamo revocato la licenza a Sogefin, la finanziaria incriminata dal team di Report di avere avuto a che fare con Francesco Lo Piccolo, boss della Camorra”.
    Nella seduta del Congresso di Stato di San Marino la puntata di "Report" è stato il tema centrale, ma le polemiche tra la maggioranza di Alleanza Popolare e i partiti dell'opposizione, che hanno denunciato manovre spregiudicate del Governo nell'ambito degli istituti di credito.

    12/05/09

    Israele - Revocata la cittadinanza a quattro arabo israeliani

    Il programma del ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman era chiaro fin dalla campagna elettorale: separare gli ebrei e gli arabi all'interno di Israele.
    Si pensava che, una volta al potere, il leader ultraortodosso principale alleato di Netanyahu avrebbe smussato gli angoli della sua proposta, sospetto avvalorato dal basso profilo tenuto da Lieberman nei suoi primi incontri internazionali (la scorsa settimana era in Italia). Così non è stato, e mentre in Europa Lieberman lasciava intendere di essere pronto ad aperture nei confronti dei palestinesi, in patria a quattro cittadini arabi israeliani è stata tolta la cittadinanza. In realtà si parla di casi molto più numerosi, c'è chi dice oltre 30, ma mancano fonti ufficiali. L'iniziativa è partita dal ministro degli Interni Eli Yishai, esponente del partito ultraortodosso Shas, e l'accusa è di essere fiancheggiatori di gruppi nemici d'Israele. Nessuno di questi cittadini ha però mai subito un processo o un'indagine per tradimento o spionaggio, semplicemente si tratta di persone che hanno lasciato Israele per trasferirsi in paesi arabi ritenuti "nemici di Israele".
    Gli arabi rappresentano il 20% della popolazione israeliana, e in massima parte sono cittadini di Israele con pieni diritti, avendo scelto di aderire allo stato costituito nel 1948. Si tratta infatti quasi esclusivamente dei cittadini (e dei loro discendenti) che nel 1948 non abbandonarono le loro case e rimasero in quello che diventava lo stato israeliano.
    In campagna elettorale Lieberman aveva proposto l'immediata espulsione di tutti gli arabi israeliani che non avessero sottoscritto una dichiarazione di 'lealtà' allo Stato d'Israele. Inoltre, nel 2006, dichiarava che tutti i parlamentari arabi della Knesset che, anche in passato, avessero avuto contatti con il movimento di Hamas dovevano essere fucilati.
    Intanto, nel suo viaggio europeo, Lieberman ha affrontato il problema del conflitto israelo-palestinese suggerendo una strada inedita, dicendo di pensare alla creazione - nel giro di 5-7 anni - di una soluzione "tipo Cipro". Non è ben chiaro cosa abbia voluto dire, in quanto Cipro è divisa in due perchè l'esercito turco l'ha invasa nel 1974 separando la comunità greca da quella turca. Inoltre negli ultimi mesi sono partiti dei negoziati per arrivare ad una riunione dello stato, ma ovviamente Lieberman non si riferiva a questa soluzione, quanto a quella attuale, con due governi indipendenti.

    11/05/09

    USA - Altre rivelazioni sulle torture della CIA

    Tornano a far parlare di sè i memoriali diramati il mese scorso dal Dipartimento di Giustizia sui metodi utilizzati dalla CIA nei confronti dei detenuti sospettati di terrorismo, e che sfociano nelle torture. Finora l'attenzione si era concentrata sul waterboarding e sulle altre tecniche di interrogatorio espressamente introdotte dopo gli attentati dell'11 settembre 2001, ma i memoriali mettono in luce anche l'uso frequentissimo della tecnica della privazione del sonno, tecnica che rientrava già in percedenza tra quelle adoperate negli interrogatori, ma non in questa quantità. Proprio il fatto che venga generalmente ritenuta più accettabile e meno dannosa, oltre che più efficace, ne ha favorito un amoio uso, e sebbene Obama l'abbia inserita tra le tecniche messe al bando, la CIA sta combattendo per poterla reintrodurre.
    Oltre che più diffuso, questo metodo è stato più controverso di quanto si potesse immaginare. Un rapporto del 2004 di un ispettore della CIA denunciava l'abuso della tecnica e del modo in cui veniva applicata. Secondo i memoriali, i detenuti venivano incatenati al pavimento e costretti a stare in piedi, ammanettati. I detenuti indossavano solo un pannolone e gli veniva impedito di mangiare. Se, anche in quella posizione, riuscivano ad addormentarsi, venivano immediatamente svegliati tirando le catene. A un certo punto, alla CIA venne consentito di utilizzare questo metodo per 11 giorni di fila, poi il limite fu ridotto a 7. Secondo i memoriali, i detenuti venivano monitorati dal personale medico affinchè non subissero danni fisici, ma un rapporto della Croce Rossa del 2007 parla di cicatrici sui polsi e sulle caviglie dei prigionieri. I memoriali riportano inoltre che quando i detenuti non potevano più restare in piedi, venivano distesi sul pavimento con gli arti posizionati in tal modo da recuperare energia ma abbastanza scomodi da non poter prendere sonno. La Croce Rossa riporta anche che i detenuti venivano sottoposti a musica altissima e rumori ripetitivi.
    Dai memoriali, risulta che la privazione del sonno viene considerata parte fondamentale dell'interrogatorio, meno grave di altri metodi "correttivi" o "coercitivi", e in più viene visto all'interno della CIA come un metodo in grado di avere lo straordinario vantaggio di spezzare la resistenza dei detenuti senza causare danni permanenti.
    Nel 2007, dopo che la Corte Suprema obbligò la Casa Bianca a far rientrare i programmi della CIA nell'ambito della Convenzione di Ginevra, Bush firmò un ordine esecutivo che riconosceva come diritto fondamentale dei detenuti "acqua e cibo in misura adeguata, riparo da caldo e freddo, vestiario necessario", ma nessuna menzione per il sonno.
    Gli ufficiali della CIA difendono il loro operato sostenendo che la privazione del sonno non causa danni permanenti, e anzi che il recupero dei detenuti è "sorprendentemente veloce", citando ricerche scientifiche a supporto di questa tesi.
    Ma il "Los Angeles Times" ha intervistato James Horne, direttore del Centro di Ricerca sul sonno della Loughborough University, uno degli studiosi citati dalla CIA. Horne ha detto di non essere mai stato consultato, e ha accusato la CIA di aver manipolato i risultati dei suoi studi estrapolando brani e decontestualizzandoli.

    Fonte: Los Angeles Times

    08/05/09

    La Spagna aiuta gli immigrati...a casa loro

    Quante volte abbiamo sentito dire da chi contrasta il fenomeno dell'immigrazione la fatidica frase "Aiutiamoli a casa loro"?. C'è chi ha deciso di mettere in pratica questo principio, ed è il ministro del Lavoro del governo spagnolo, il socialista Celestino Corbacho (foto), pioniere di un sistema senza dubbio originale per contrastare l'immigrazione.
    Il ministro spagnolo ha prima fatto approvare un "piano di ritorno per i disoccupati extracomunitari", che prevede il pagamento di due anni di sussudio di disoccupazione a quegli immigrati che, dopo aver perso il lavoro, tornano in patria con l'impegno di non fare ritorno in Spagna per almeno tre anni. Ora Capucho ha proposto un nuovo piano: preso atto dell'impossibilità di contenere i flussi di immigrati che provengono da paesi dell'Unione Europea, in prevalenza dalla Romania, e delle ingenti risorse spese per questi immigrati che non si possono rimpatriare in maniera coatta, il governo ha annunciato che i rumeni attualmente risiedenti in Spagna potranno ricevere un sussidio di disoccupazione da parte di Madrid a patto che tornino in patria e che lì cerchino attivamente lavoro (l'impegno sarà certificato dagli uffici di collocamento rumeni). Il sussidio potrà essere comodamente riscosso negli uffici postali della Romania. La notizia, riportata dall'edizione online del quotidiano spagnolo El Mundo, è stata riferita ai cronisti dallo stesso ministro, sul volo che lo riportava a Madrid dopo una visita in Romania e segue di poche ore l'annuncio della verifica in corso per capire se è possibile incentivare economicamente i romeni a tornare a casa. Corbacho, insomma, è pronto a trovare fondi per liberare i suoi connazionali dei disoccupati stranieri.
    Corbacho nelle scorse settimane è stato oggetto di polemiche in patria per la proposta di legge, poi bocciata, che prevedeva l'inserimento nelle norme sull'immigrazione della possibilità di multare fino a 10.000 euro tutte le persone che fornivano aiuto ai migranti irregolari presenti su suolo spagnolo.Il che voleva dire equiparare i trafficanti di esseri umani e gli sfruttatori della manodopera clandestina alle organizzazioni non governative che si battono per il rispetto dei diritti umani dei migranti. Alla fine il governo spagnolo ha ceduto alle pressioni dell'opinione pubblica indignata dalla norma e dalla mancata distinzione rispetto al concetto di 'aiuto all'immigrazione clandestina' . Come suggerito, del resto, dall'organo supremo della magistratura iberica, il Cgpj, che aveva ravvisato nella norma il rischio di ''criminalizzare l'attività di pura solidarietà delle associazioni''.

    07/05/09

    Conferenza di Aipac: riprendono i negoziati di pace?

    In un breve intervento non programmato alla Conferenza Aipac (la più influente organizzazione ebraica americana) di Washington, il premier israeliano Benjamin Netanyahu, parlando via satellite da Gerusalemme, ha detto di volere la pace con gli arabi e di essere pronto a riprendere al più presto i negoziati con i palestinesi. "Vogliamo una normalizzazione dei rapporti economici e diplomatici" con i nostri vicini, ha detto il premier israeliano, che il 18 maggio prossimo incontrerà il presidente americano Barack Obama alla Casa Bianca. "Vogliamo la pace con il mondo arabo, ma la vogliamo anche con i palestinesi, questa pace che sfugge da 30 anni. Sei premier israeliani e due presidenti americani non sono riusciti a raggiungere questa pace", ha ricordato (Fonte: Rai News 24). "Il nuovo approccio che propongo - ha spiegato - segue una triplice via verso la pace: politica, di sicurezza ed economica". "La via politica - ha proseguito Netanyahu - è che noi siamo pronti a riprendere i negoziati di pace senza indugio e senza pre-condizioni, e prima sarà meglio sarà".
    Stessa posizione ribadita alla conferenza dal leader dell'opposizione Tzipi Livni, che ha lanciato un monito contro il "perdere altro tempo" e ha chiesto la ripresa del negoziato di pace con i palestinesi. Sottolineando che la corsa al riarmo dell'Iran spaventa non solo lo Stato ebraico ma anche i Paesi arabi, la Livni ha detto che questa situazione regionale "ha aperto nuove possibilità per alleanze tra Israele e gli Stati arabi pragmatici, consapevoli che non e' Israele la fonte dei problemi in Medio Oriente". Per questo motivo, ha aggiunto l'ex ministro degli Esteri, il governo Netanyahu non deve cercare di guadagnare tempo ma, al contrario, deve accelerare le trattative con i palestinesi.
    Alla stessa conferenza ha parlato anche il vicepresidente americano Joe Biden, che ha lanciato un appello affinche' i militanti palestinesi rilascino immediatamente e senza condizioni il soldato isareliano Gilad Shalit, prigioniero di Hamas dall'estate del 2006, invitando pero' Israele a lavorare verso la formazione di uno stato Palestinese accanto a quello ebraico e chiedendo alle autorita' di Tel Aviv di metter fine agli insediamenti in Cisgiordania. Biden ha affermato che ''Israele deve lavorare verso una soluzione a due Stati; fermare la costruzione di nuovi insediamenti; smantellare gli avamposti esistenti e permettere liberta' di movimento ai palestinesi''.
    Fredde le reazioni palestinesi. "Le dichiarazioni del primo ministro israeliano davanti all'Aipac sono ambigue e insufficienti", ha detto all'Afp Nabil Abu Rudeinah, portavoce del presidente palestinese Abu Mazen. Secondo il portavoce di Abu Mazen, "un desiderio sincero di pace deve tradursi nell'accettazione di una soluzione basata sui due Stati e il blocco della colonizzazione". Ogni proposta "non conforme alle risoluzioni internazionali è inaccettabile", ha aggiunto. Il negoziatore palestinese Saeb Erekat ha detto a sua volta che l'Autorità Palestinese esige la ripresa dei negoziati di pace sulle questioni fondamentali "a partire dal punto in cui sono giunti" sotto il governo dell'ex premier Ehud Olmert, a cui è subentrato Netanyahu il 1 aprile scorso.

    06/05/09

    Usa - Preoccupazione per il nucleare pakistano

    L'Afghanistan, fronte centrale della lotta al terrorismo secondo la "dottrina Obama", vede il proprio ruolo affiancato se non quasi superato dal vicino Pakistan. Oggi e domani a Washington il presidente americano riceverà a Washington il presidente pachistano Asif Ali Zardari e l'omologo afghano Hamid Karzai, per il primo vertice di politica estera della nuova amministrazione.
    Ufficialmente il vertice sarà incentrato sulla cooperazione tra i due paesi mediorientali nella lotta al terrorismo, ma il nodo centrale da risolvere sarà l'arsenale nucleare del Pakistan, ra le 60 e le 100 testate, che rappresenta una grossa preoccupazione in un Paese in cui la presenza talebana si fa sempre più forte e il potere centrale sempre più debole, come hanno dimostrato anche i disordini di poche settimane fa. La vulnerabilità, la scarsa affidabilità, la poca compattezza dei vertici militari e politici di Islamabad, uniti alla crescente potenza dei militanti islamici e alle "limitate opzioni" degli Usa in Pakistan tracciano un quadro quanto mai incerto del futuro nella regione.
    Altro problema deriva dal fatto che gli Usa non sanno dove sono dislocati i siti nucleari pakistani, e quindi non potrebbero intervenire con prontezza in caso la situazione politica del paese andasse in crisi. Durante l'amministrazione Bush, l'alleanza con il Pakistan di Musharraf era talmente vitale che gli Usa hanno preferito chiudere un occhio su tutte le problematiche del regime militare - dalla violazione dei diritti umani agli assassini politici - ma ora che a Washington la musica è cambiata e che a Islamabad la situazione è ancora più precaria un chiarimento è urgente.
    Lo scenario più temuto, spiega un esperto dell'intelligence, è quello di un "incidente" creato ad arte (come ad esempio una disputa con la vicina India) che induca i militari pachistani a "muovere" le armi nucleari, rendendo così possibile un "furto" da parte dei gruppi terroristici. Non più di una settimana fa, il segretario di Stato Hillary Clinton, parlando a una commissione del Congresso, spiegava come l'arsenale pachistano sia "molto disperso sul territorio". Il sentimento antimericano in Pakistan è forte, e una presenza militare Usa nel Paese è impossibile. Gli strumenti nelle mani dell'amministrazione Obama si limitano al "denaro, al rifornimento di armi, al sostegno al governo e ai militari", secondo il Washington post. Obama è riuscito a varare un pacchetto di aiuti quinquennale di 7,5 miliardi di dollari per il Pakistan e, il mese scorso, la conferenza dei donatori di Tokyo ne ha promessi altri 5,5. Ma la fiducia americana nel governo di Zardari sta diminuendo e la Casa Bianca sta guardando con sempre più interesse al leader dell'opposizione, Nawaz Sharif, nel caso di un avvicendamento.
    Si valuta se Sharif, visto con sospetto per i suoi legami con gli estremisti islamici, possa essere "riconvertito" ad alleato americano. Il terrore della Casa Bianca è che in Pakistan si ripeta un nuovo caso-Iran, e due esponenti di punta dell'amministrazione, il segretario alla Difesa Robert Gates e l'inviato per Afghanistan-Pakistan, Richard Holbrooke, hanno esortato a studiare il caso iraniano del 1979, quando l'ayatollah Khomeini istituì la Repubblica islamica a Teheran mettendo in scacco lo scià alleato con gli Usa e mettendo in crisi l'amministrazione di Jimmy Carter.

    04/05/09

    Un "italiano" alla guida di Panama

    Il candidato dell'opposizione di centro-destra Ricardo Martinelli ha vinto le elezioni presidenziali a Panama, superando con buon distacco la candidata del partito social-democratico attualmente al governo, Balbina Herrera.
    Martinelli, di chiare origini italiane, è un noto imprenditore di Panama, 57 anni e proprietario della più grande catena di supermercati del paese, è nipote di un emigrato toscano e di una spagnola. Dopo la vittoria - la cui ratifica è arrivata già a metà dello spoglio delle schede, quando è stato chiaro che il partito conservatore era stabilmente al 60% dei consenso contro il 305 del partito social-democratico - Martinelli ha annunciato di voler formare un governo di unità nazionale.
    Secondo i dati preliminari, il Partido Revolucionario Democratico ha perso sia la presidenza della Repubblica, che la maggioranza dell'Assemblea Nazionale e la poltrona di primo cittadino della capitale, un risultato severissimo che è la conseguenza del malcontento popolare per l'operato dell'attuale governo.
    Subito dopo la vittoria, il neo presidente Martinelli ha fatto sapere: "E' il trionfo di tutto il popolo di Panama. Non possiamo continuare ad avere un Paese in cui il 40% dei panamensi sono poveri. Saremo tutti panamensi e cambieremo questo paese, dandogli un buon sistema sanitario, una buona istruzione, buoni trasporti e una buona sicurezza"
    Il nuovo presidente ottiene un mandato di cinque anni, fino al 2014 e dovrà condurre il paese attraverso la crisi e realizzare l'allargamento del canale di Panama, un progetto da 5,25 miliardi di dollari (3,94 miliardi di euro) di cui 2,3 miliardi di dollari (1,72 miliardi di euro) di finanziamenti esteri.
    Proprio questo progetto è costato la sconfitta al governo in carica e al presidente uscente Torrijos. I lavori per l'allargamento del canale, dopo l'approvazione del progetto con un referendum nel 2006, sono iniziati già da più di un anno, e consentiranno il passaggio di più navi e di maggiori dimensioni nello stretto (attualmente le navi che attraversano il canale non possono superare i 292,68 metri di lunghezza ed i 32,31 metri di larghezza). Ciò ha già portato sensibili benefici economici e commerciali, che però per ora hanno riguardato solo commercianti e imprenditori, mentre la popolazione del piccolo stato versa ancora in condizioni di povertà.