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    15/04/09

    Thailandia - La sconfitta delle "camicie rosse"

    La lotta animata dai rivoltosi in maglietta rossa, seguaci dell'ex premier Thaksin Shinawatra si è conclusa con il ritiro dei manifestanti e una vittoria su tutta la linea dell'esercito regolare, che ha ristabilito la calma a Bangkok.
    Come spiegato anche nel post di ieri, le camicie rosse potevano contare su un consenso diffuso tra le fasce più povere del paese e sull'appoggio dei media controllati da Shinawatra, ma a parte questo non avevano nessuna forza o organizzazione tale da poter reggere una rivolta di diversi giorni, tanto è vero che tutti gli sforzi si sono concentrati nel tentativo di spingere alle dimissioni l'attuale premier Abhisit Vejjajiva solo con la minaccia di disordini. Il premier non ha ceduto alla piazza e anzi ha contrapposto ai manifestanti uno schieramento di forze militari tale da soverchiare in poco tempo i rivoltosi e da spegnere ogni focolaio di disordine.
    Ieri mattina, al termine di 48 ore da guerra civile nella capitale thailandese, gli stessi leader della rivolta hanno esortato le poche migliaia di attivisti rimasti a disperdersi, abbandonando l'accampamento intorno alla sede del governo presidiato dal 26 marzo.
    La battaglia più intensa si è verificata all'alba di lunedì presso un incrocio stradale occupato dai "rossi", armati di bombe molotov e bastoni: le truppe hanno sparato lacrimogeni e proiettili veri in aria, e gli scontri hanno causato 70 feriti. Gruppi di dimostranti hanno continuato a erigere barricate mentre i militari li costringevano a ritirarsi nelle aree popolari, dove i rivoltosi si sono trovati inaspettatamente attaccati anche dai civili, stanchi ed esasperati dalla violenza. In questi scontri sono morti due civili. Ancora è incerto il bilancio definitivo di questi giorni di rivolta. Dal suo esilio dorato di Dubai, l'ex premier Shinawatra ha accusato il governo di aver ucciso decine di attivisti, accusa negata dall'attuale premier, mentre per tutta risposta un tribunale ha emesso un mandato di arresto contro Thaksin Shinawatra, accusato di aver incitato alla rivolta, e dodici collaboratori.
    Escludendo un dialogo con Shinawatra, il primo ministro Vejjajiva ha elogiato le forze di sicurezza per i "metodi soft" che hanno impedito danni maggiori. Sia Shinawatra che i leader del movimento popolare, che hanno motivato la decisione di ritirarsi con il "bisogno di salvaguardare le vite dei nostri sostenitori", annunciano però che la battaglia per far cadere l'esecutivo non è terminata.

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