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    17/04/09

    USA - Nel Tax Day le prime proteste contro Obama

    Il "Tax Day", il giorno in cui i cittadini americani devono presentare la dichiarazione dei redditi e pagare le tasse al governo federale, quest'anno assume dei connotati diversi, anche perchè per la prima volta dopo gli anni dell'amministrazione Bush le imposte sono tornate a crescere, e la tendenza dovrebbe rimanere tale anche nei prossimi anni.
    Lo "stimolo" economico ideato dall'amministrazione Obama si compone infatti, tra le altre cose, anche di un aumento imponente della spesa pubblica, coperto in parte da un aumento delle tasse. Come promesso in campagna elettorale, Obama ha iniziato ad abolire i tagli fiscali decisi da Bush per i redditi più alti, che quindi da quest'anno si troveranno con un aumento delle imposte molto sentito.
    L'occasione è stata ghiotta per i Repubblicani e per gli oppositori di Obama, che in molti Stati hanno organizzato proteste più o meno estese contro la politica fiscale del presidente. Le proteste più clamorose si sono tenute a Washington e in Texas. Nella capitale si sono radunati migliaia di manifestanti attorno alla Casa Bianca, vestiti con abiti della rivoluzione anticoloniale, aderendo alle proteste del "tea party", organizzazioni spontanee e apolitiche che si impegnano a fronteggiare le richieste dell'erario rifacendosi al "Boston tea party", la protesta contro le tasse degli inglesi che diede il via alla Rivoluzione nel 1773.
    In Texas la protesta ha avuto invece connotati più marcatamente politici, ed è stata infatti guidata dal Governatore dello Stato, Rick Perry, Repubblicano conservatore ed erede di George Bush non solo alla guida del Texas ma anche nelle posizioni politiche. Al grido di "Don't mess with Texas", Perry ha accusato la politica di Obama di "strangolare" l'economia dello Stato, e arrivando persino a minacciare la secessione. Non è certo la prima volta che il Texas minaccia di staccarsi dall'Unione, si tratta di una protesta che torna ciclicamente soprattutto quando a Washington non c'è un presidente Repubblicano, e principalmente per motivi fiscali. Questa volta però la protesta non è come le altre, proprio per il fatto che alle spalle non c'è solo un malcontento popolare ma anche un preciso disegno politico.
    In realtà la questione delle tasse è solo un pretesto (il federalismo fiscale risolverebbe il problema): la paura di molti Stati è che Obama voglia adottare un controllo più stringente negli affari delle amministrazioni locali, che invece vogliono mantenere la loro indipendenza dal governo centrale, che anzi vorrebbero ancora più "light".
    E intanto, anche se è presto per trarre conclusioni, il piano economico di Obama inizia a dare i primi frutti. Per la prima volta da mesi, il numero di nuovi disoccupati ha iniziato a calare la scorsa settimana, e il leader della Federal Reserve Benanke ha affermato che il momento peggiore della crisi è passato. E l'indice di approvazione di Obama resta sempre molto alto, al 62%, poco meno di quello con cui aveva iniziato il suo mandato, e addirittura il 53% degli americani accetterebbe un maggiore peso del governo centrale.

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