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    30/04/09

    Influenza suina, l'allarme sale a 5

    (Associated Press)
    http://hosted.ap.org/photos/A/ac6b6883-521f-46fd-93b4-d93dd44376c1-big.jpg
    L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha alzato il livello di allarme per l'influenza suina a 5, vicina al massimo di 6.
    La decisione è arrivata dopo la segnalazione di casi in 10 stati degli Usa, e la presenza sempre più diffusa in Europa.
    "Tutta l'umanità è minacciata dalla pandemia" ha detto il direttore generale dell'OMS Margaret Chan "Non abbiamo tutte le risposte, ma le avremo".
    Gli Usa piangono la prima vittima statunitense del virus, un bambino messicano che si era trasferito in Texas con la sua famiglia. I casi in Usa sarebbero circa 100, e il presidente Obama ha annunciato che sarà necessario chiudere molte scuole.
    In Messico si stima ci siano stati 159 morti e circa 2.500 malati. In Usa ci sarebbero 51 casi confermati a New York, 16 in Texas e 14 in California, 2 rispettivamente in Kansas, Massachusetts e Michigan, uno in Arizona, Indiana, Nevada e Ohio. Tre casi sono stati rilevati nel Maine, ma non sono ancora stati ufficializzati. Secondo il Pentagono un marine della California del sud è risultato positivo.
    Per ora sono stati confermati casi di influenza suina su pazienti umani in Messico, Usa, Canada, Inghilterra, Israele, Nuova Zelanda e Spagna.
    Germania e Austria sono gli ultimi paesi ad aver riportato l'infezione, con quattro casi in Germania e uno in Austria.

    © 2009 The Associated Press

    29/04/09

    Olanda - La regina Beatrice non abdica (per ora)

    Il principe Guglielmo-Alessandro d'Olanda avrebbe potuto ricevere per il suo 42esimo compleanno un regalo piuttosto insolito: il trono. Secondo la stampa olandese, sua madre la Regina Beatrice avrebbe infatti annunciato lunedì la decisione di voler abdicare in favore del figlio, dopo quasi 30 anni di regno. Ma così non è stato.
    La notizia era stata anticipata da indiscrezioni pubblicate su alcuni quotidiani olandesi ma è stata smentita dai fatti La Regina Beatrice, 71 anni, non ha per ora deciso di seguire le orme di sua madre Giuliana, che nel 1980 decise di abdicare dopo 31 anni di regno.
    Anche se in Olanda si specula da anni su una eventuale abdicazione della regina in favore del figlio maggiore, le indiscrezioni si erano fatte più insistenti che mai negli ultimi giorni all'avvicinarsi del compleanno di Guglielmo-Alessandro e soprattutto perchè il servizio nazionale di informazione avevaprenotato uno spazio sulla Tv nazionale e sembrava l'occasione ideale per Beatrice di annunciare la sua l'abdicazione, a pochi giorni prima della giornata di festa della Regina, il 30 aprile, che in Olanda che è una festa molto popolare.
    Pare comunque che l'abdicazione della sovrana sia davvero in agenda, anche se la tempistica è avvolta nell'incertezza, e a quel punto Guglielmo-Alessandro sarà il primo re dopo oltre un secolo in cui si sono alternati quattro "troni" al femminile.
    L'ultimo re fu infatti Guglielmo III che, morto nel 1890, lasciò il potere a Guglielmina. Quest'ultima abdicò in favore della figlia Giuliana la quale a sua volta lasciò il trono alla stessa Beatrice.
    Dal 2002 il principe è sposato con Maxima Zorreguieta, figlia del ministro dell’Agricoltura dell’ultima dittatura militare argentina, da cui ha avuto tre figlie.
    La 71enne Regina Beatrice, annoverata dalla rivista "Fortune" come una delle donne più ricche del mondo e popolarissima in patria, avrebbe confidato ai familiari di non sentirsi più in grado di adempiere a tutti gli impegni che il trono richiede.

    27/04/09

    5 cose da sapere sull'influenza suina

    di Ryan Walsh (TIME)

    1) Questa influenza è una pandemia?
    Il virus influenzale è in continua mutazione. E' per questo che non possiamo avere una piena immunità, perchè ci sono molti ceppi che cambiano di anno in anno.
    Tuttavia, anche se veniamo colpiti dal virus, il nostro sistema immunitario dovrebbe essere sufficiente a rispondere all'influenza, che pertanto è raramente fatale per un organismo in salute.
    Ma ogni tanto il virus cambia la propria struttura genetica in modo tale che il nostro sistema immunitario non possa rispondere (questo avviene di solito nel passaggio da un virus animale, come l'influenza aviaria ancorain circolazione in Asia, a un essere umano). Una pandemia si verifica quando emerge un virus per cui l'uomo non ha anticorpi a sufficienza, e quindi si diffonde con grande facilità. Nel 20° secolo ci sono state due leggere pandemie, nel 1957 e nel 1968, e la gravissima influenza Spagnola nel 1918, che uccise tra 40 e 50 milioni di persone.
    L'organizzazione mondiale della sanità ha la responsabilità di dichiarare le pandemie, e utilizza una scala di sei fasi. Attualmente, grazie all'influenza aviaria che nel 2003 ha ucciso 257 ma non si è diffusa, siamo nella fase 3. Se l'Organizzazione cambierà l'allarme alla fase 4, vorrà dire che effettivamente abbiamo a che fare con una pandemia.

    2) Cosa succederà se questa influenza diventerà una pandemia?
    Elevare l'allarme alla fase 4 significherà dover prendere serie misure di contenimento a livello nazionale e internazionale. Visto che questi provvedimenti potrebbero avere gravi ricadute sull'economia e sull'ordine pubblico, c'è la preoccupazione che l'OMS prenda decisioni politiche più che sanitarie. Certamente dichiarare il livello 4 non è una mossa da prendere alla leggera. Vorrebbe dire instituire quarantene rigide e coprire le aree infette di antivirali.
    Questi metodi però sono sorpassati in un mondo globalizzato: sicuramente provocherebbero danni gravissimi ad un sistema economico già danneggiato, e la verità è che non possiamo sapere se funzioneranno.

    3) Perchè i casi in Usa sono stati molto più leggeri di quelli in Messico?
    Questa è la domanda che fa impazzire gli esperti. In Messico l'influenza ha causato gravi crisi respiratorie e soprattutto ha ucciso pazienti giovani e sani, che normalmente resistono al virus (aumentando le preoccupazioni, visto che gli stessi tipi di pazienti morirono in massa nell'influenza del 1918). Invece in Usa l'influenza è stata molto più leggera e non avrebbe fatto notizia se i medici non la avesse collegata a quella del Messico.
    La differenza può essere dovuta al fatto che in Messico l'influenza suina è iniziata prima che in Usa. I medici si aspettano di trovare casi più gravi negli Stati Uniti nei prossimi giorni, mentre in Messico i casi dovrebbero alleggerirsi grazie al lavoro epidemilogico fatto in questi giorni.
    Attualmente, però, la gravità dell'influenza suina è ancora tutta da decifrare, e la risposta potrebbe cambiare nel tempo.
    La Spagnola del 1918 iniziò come una leggera influenza primaverile, ma pochi mesi dopo tornò in forma molto più virulenta.

    4) Gli Usa e il mondo sono pronti a rispondere a una pandemia?
    In un certo senso, il mondo non è mai stato così pronto ad una pandemia. Grazie alla paura per l'aviaria, gli Usa, l'OMS e il mondo hanno immagazzinato milioni di dosi di antivirali. Gli Usa hanno un piano dettagliato piano di preparazione alla pandemia stilato durante la presidenza Bush, e lo stesso vale per molti altri paesi. Sars e aviaria hanno portato le organizzazioni sanitarie nazionali a stilare dei protocolli precisi per affrontare una vera pandemia. Possiamo identificare nuovi virus molto velocemente, e abbiamo tecnologie salvavita impensabili nel 1918.
    Allo stesso tempo, la globalizzazione ci mette a rischio. I voli internazionali significano una rapida diffusione dell'epidemia. E se l'OMS è in grado di arrivare ad un vaccino in tempi rapidi, ci vorranno mesi prima che le industrie farmaceutiche ne mettano in commercio una quantità adeguata - e anche allora non basterebbero per tutti gli abitanti del pianeta.
    Gli Usa sono particolarmente vulnerabili, avendo in tutto il paese. un unico impianto in grado di produrre vaccini.
    Ma il rischio più grande può non essere dato dalle conseguenze dirette del virus, quando dai "danni collaterali" se i governi restringessero la libera circolazione di persone e merci. Non solo la recessione economica globale si aggraverebbe, ma sarebbero a rischio le importazioni di materiali necessari per le cure, da medicinali generici a guanti chirurgici.

    5) Quanto dobbiamo essere spaventati?
    Dipende a chi fate la domanda. Fuori dal Messico l'influenza non sembra ancora molto seria - al contrario della Sars nel 2003. In Usa la stagione influenzale si sta concludendo, rendendo più facile identificare i casi di influenza suina. Ci sono semplici cose che chiunque può fare per la prevenzione, come curare maggiormente l'igiene personale (lavare le mani di frequente e coprire bocca e naso quando si starnuta) e stare lontani dai luoghi pubblici se ci si sente male.
    Ma la verità è che ogni epidemia è imprevedibile, e sappiamo molto poco di questa influenza suina. Siamo in un territorio ignoto. Il panico sarebbe controproducente, ma non bisogna sottovalutare le nostre vulnerabilità. Come ha detto Janet Napolitano "Questa sarà una maratona, non uno sprint". Quindi siate pronti.

    © 2009 Time Inc. All rights reserved

    USA: Cheney attacca Obama

    In un'intervista in due parti a Fox News, l'ex vicepresidente americano Dick Cheney non si è fatto pregare prima di criticare praticamente tutti gli atti della nuova amministrazione statunitense, dalla decisione di divulgare i momoriali della CIA riguardanti le torture "ma non quelli che testimoniano il successo dei nostri sforzi", alla stretta di mano di Obama al presidente venezuelano Chavez "penso che non ci abbia pensato abbastanza". E, addirittura, Cheney si è detto preoccupato per il modo in cui l'America viene rappresentata oltreoceano. Abbastanza paradossale, detto dal rappresentante di un'amministrazione che ha fatto registrare il minimo di gradimento in patria e all'estero.
    Ma la decisione di Cheney di ergersi a unico difensore dell'amministrazione Bush - lo stesso Bush si è ritirato a vita privata in Texas e non ha più fatto uscite pubbliche - impensierisce non tanto la Casa Bianca, che per ora non ha replicato alle critiche, quanto il partito Repubblicano, che è disperatamente in cerca di facce nuove e nuove idee.
    "Lui rappresenta il passato" ha spiegato uno stratega del Gop "un volto divisivo e che rappresenta il conflitto. Quindi non è un bene per il partito".
    In un momento il cui il Gop prova a rimettere ordine tra le sue fila e a cercare un leader che lo conduca prima alle elezioni di medio termine e poi all'appuntamento con le presidenziali del 2012 - e finora nessun volto è emerso - il fatto che Cheney rappresenti ancora la personalità più di spicco del partito è visto come un problema. Problema aggravato dal fatto che non c'è nessuno nel Gop in grado di dire a Cheney di farsi da parte, e che Cheney, in virtù del suo passato incarico e della sua schiettezza, viene intervistato con moltta frequenza.
    "Cheney dice cosa perfettamente ragionevoli, che purtroppo hanno il grosso problema di avere il messaggero sbagliato" ha spiegato lo stratega del Gop "se Cheney ritica Obama, il dibattito lascia il campo delle decisioni politiche e tocca quello dello scontro di personalità, e una battaglia tra Cheney e Obama è l'ultima cosa che serve al partito".
    Ancora oggi Cheney è molto impopolare nell'elettorato, e in particolar modo tra gli indipendenti che hanno portato Obama alla vittoria schiacciante di novembre. Un sondaggio dello scorso marzo ha riportato che solo tre elettori su dieci hanno un'opinione favorevole di Cheney, mentre il 63% ha un'opinione negativa. Numeri coerenti con quelli che Cheney ha collezionato negli ultimi tre anni. Piccola curiosità: anche la figlia di John McCain, Meghan, non ha risparmiato parole di critica a Cheney, così come a Karl Rove "Avete avuto i vostri 8 anni, adesso andatevene".

    25/04/09

    Diario della settimana

    Sudafrica: Le elezioni in Sud Africa, anticipate dai problemi giudiziari del favoritissimo Zuma, si chiudono con una vittoria schiacciante del partito di maggioranza, l'African National Congress (ANC), che ha ottenuto però poco meno di due terzi dei seggi in parlamento (fermandosi al 65,9%). Jacob Zuma, che vede ormai vede così riconfermata la carica, non potrà quindi attuare modifiche alla Costituzione, per le quali è richiesta la maggioranza qualificata dei due terzi. Nonostante una flessione di circa cinque punti percentuali rispetto alle precedenti consultazioni, il partito degli ex liberatori dimostra, per la quarta volta su quattro elezioni, di avere ancora un grande appeal tra l’elettorato. All'opposizione, l'Alleanza Democratica con il 16% dei voto ed il Congress of the People (COPE) con il 7,6%.
    In settimana, a fare campagna elettorale per Zuma ci ha pensato anche Nelson Mandela, in una delle sue rarissime apparizioni pubbliche. Questo impegno ha permesso di scongiurare il rischio di astensionismo, unico motivo di suspence per delle elezioni dall'esito scontatissimo.

    Islanda: si svolgono oggi le elezioni in Islanda, elezioni anticipate dopo la caduta del governo a causa della gravissima crisi economica che ha portato il paese in bancarotta. L'attuale governo di sinistra ad interim è dato largamente favorito, secondo due sondaggi. I socialdemocratici ottengono il 31,8% dei consensi, mentre i loro alleati, il movimento Sinistra-Verdi, riceve il 24,1% delle preferenze, secondo una prima ricerca realizzata dal giornale Frettabladid tra lunedì e mercoledì su un campione di 3.600 persone. Il Partito per l'indipendenza, dell'ex premier conservatore Geir Haarde, raccoglie invece il 21,9% dei consensi, secondo il sondaggio, un risultato ancora più basso del minimo storico raggiunto nel 1987 (27%). Un secondo sondaggio, condotto dall'istituto Capacent-Gallup, sempre tra lunedì e mercoledì, ma su un campione di 2.380 persone e pubblicato su Morgunbladid, i socialdemocratici ottengono il 29,2%, i Sinistra-Verdi il 27,2%, e il Partito per l'Indipendenza il 23,6%. Alle ultime elezioni islandesi, nel maggio 2007, il partito di destra vinse con il 36,6% dei voti, contro il 26,8% dei social-democratici e il 14,3% del movimento ecologista.
    Se la previsione venisse confermata dai risultati, la coalizione di centro-sinistra di avvierebbe a governare con una comoda maggioranza in parlamento

    Sri Lanka: un team dell'Onu per risolvere le emergenze umanitarie sarà inviato immediatamente in Sri Lanka. "Molte vite umane sono state sacrificate, non c'è altro tempo da perdere", ha commentato Ban Ki Moon.
    La decisione arriva in un momento in cui l'esercito regolare ha sfondato le linee dei ribelli Tamil penetrando nella "Safe zone". Come risultato, folle di civili tamil hanno abbandonato la zona in cerca di rifugio. Il governo di Colombo ha definito questa fuga "la più grande operazione di liberazione di ostaggi mai fatta al mondo". Fonti vicino ai ribelli parlano invece di sfollati in fuga dai bombardamenti governativi e di centinaia di morti. "Ora che non si possono più fare scudo dei civili, per le Tigri è finita", ha dichiarato il presidente Mahinda Rajapakse. Velayudam Dayanidi, il principale portavoce dei ribelli delle Tigri Tamil si è arreso. Resta invece avvolta nel mistero la posizione del capo supremo dei ribelli, Velupillai Prabhakaran, che non dà sue notizie da circa 18 mesi.

    Paraguay: il presidente del Paraguay Fernando Lugo, ex vescovo cattolico, è al centro di uno scandalo sessuale scatenato da diverse domande di riconoscimento della paternità nei suoi confronti.
    Lugo, che ha 57 anni, ha riconosciuto il 13 aprile la paternità di un bambino di due anni, concepito quando il presidente vestiva ancora l'abito vescovile. Da allora, altre due donne hanno sostenuto di aver avuto figli con lui, sollevando un grave scandalo nel più povero dei paesi del Sudamerica, dove il 90% della popolazione è di religione cattolica. Lugo ha però detto di non volersi dimettere e ha denunciato gli "intrighi" dei suoi oppositori, furiosi per aver perso il controllo del governo dopo 61 anni. "Per avere la presidenza, dovranno aspettare una vittoria legittima in libere elezioni, come abbiamo fatto noi", ha detto Lugo.

    24/04/09

    USA: Cheney e Rice diedero l'ok alle torture

    Il 17 luglio 2002 l'allora consigliere per la sicurezza nazionale Condoleeza Rice, che poi sarebbe diventato Segretario di Stato, autorizzò la CIA a utilizzare "metodi alternativi di interrogatorio", incluso il "waterboarding" (l'annegamento simulato), per il presunto affilaito di Al Qaeda Abu Zubaydah.
    La decisione fu condizionata alla pronuncia del Dipartimento di Giustizia, e una settimana dopo il Procuratore Generale John Ashcroft dichiarò perfettamente legale quel metodo di interrogatorio.
    E' quanto riporta una rapporto diramato dal Dipartimento di Giustizia su richiesta della commissione Intelligence del Senato degli Stati Uniti.
    Le tecniche di interrogatorio utilizzate contro diversi prigionieri sospettati di terrorismo vennero poi autorizzate dalla Casa Bianca e da Bush in persona nel 2003 quando la CIA chiese maggiore chiarezza sulle pratiche da utilizzare.
    In una riunione tra Bush, Cheney, la Rice, Ashcroft e il direttore della CIA George Tenet, "si stabilì che il programma della CIA era legale rifletteva le politiche dell'amministrazione Bush".
    Un memoriale diramato dimostra che negli interrogatori della CIA il waterboarding venne usato almeno 266 volte su Abu Zubaydah e Khalid Sheik Mohammed, sospettato di essere la mente degli attentati dell'11 settembre.
    Il Segretario alla Difesa Robert Gates, che ricoprì lo stesso ruolo anche nell'amministrazione Bush ed è anche stato a capo della CIA, ha sostenuto che rendere pubblici questi memoriali è stato un atto inevitabile di trasparenza, concordando anche con la scelta di non perseguire i singoli responsabili delle torture.
    Intanto in Senato diversi Democratici hanno chiesto l'apertura di una commissione di inchiesta, ma è un'ipotesi ampiamente improbabile perchè nello stesso campo democratico le posizioni non sono univoche.
    Non sono arrivate dichiarazioni da Bish o dalla Rice, in compenso Dick Cheney, intervistato in più occasioni, ha criticato la scelta di rendere pubblici i memoriali sulla CIA ed ha anche difeso i metodi di interrogatorio "alternativi".
    "Hanno prodotto i risultati sperati? Credo di sì. I successi sono sotto gli occhi di tutti, e credo parlino da soli".

    23/04/09

    Sudan: Kerry in visita a Khartoum

    John Kerry, presidente della commissione esteri del Senato americano, la scorsa settimana si è recato in Sudan per una visita di tre giorni ed ha incontrato diversi alti funzionari del paese. Al termine della visita, l'ex candidato presidenziale ha annunciato che il governo di Khartoum è disposto ad autorizzare l'ingresso nella provincia del Darfur di agenzie umanitarie in sostituzione di quelle espulse il mese scorso dopo la decisione della Corte penale internazionale di spiccare un mandato di arresto contro il presidente Omar al-Bashir. In cambio, il governo sudanese ha ricevuto da Kerry un elogio pubblico per l'apertura ai ribelli, molto importante per la macchina propagandistica del paese.
    Come ha sottolineato la stessa amministrazione sudanese, la visita di Kerry potrebbe segnare una nuova era nei rapporti tra Usa e Sudan, ai ferri corti dal 1997. Proprio nel momento in cui i rapporti di Khartoum con Washington, e in generale con i Paesi occidentali, sembravano al minimo storico, soprattutto dopo la decisione del Tribunale penale internazionale di spiccare un mandato di cattura per al-Bashir, un gesto simbolico che ha solo inasprito la contrapposizione.
    Scrive Matteo Fagotto di "Peace reporter"
    "Pur non avendo mai incontrato al Bashir, ma solo il suo vice, Ali Osman Taha, l'apertura di Kerry è significativa. Non solo perché dà credito ai recenti segnali di apertura lanciati dal governo sudanese e segna un deciso cambio di approccio rispetto alla precedente amministrazione Bush, ma perché sposa in parte, e non senza ragione, la tesi di Khartoum, secondo cui il conflitto in Darfur è anche responsabilità dei movimenti ribelli, frazionatisi in almeno 12 gruppi (dagli originari due) e riluttanti anche solo a sedersi al tavolo delle trattative. A uscire parzialmente sconfitti dalla visita di Kerry non sono solo i ribelli, ma anche la Cpi: la stretta agli aiuti data da Khartoum ha infatti costretto la comunità internazionale a tornare a negoziare con il Sudan, e un'eventuale pace in Darfur difficilmente non verrebbe ricompensata con lo stralcio della posizione di Bashir all'Aja. Anche perché, in caso contrario, Khartoum ha più volte fatto sapere che raggiungere la pace sarà impossibile. E' ancora presto per dire se il mandato della Cpi verrà ridotto a semplice merce di scambio nelle trattative. Ma ieri, a Khartoum, un passo verso questa direzione è sicuramente stato fatto."

    22/04/09

    Dopo le polemiche, riprende il vertice sul razzismo

    La conferenza dell'Onu sul razzismo è ripresa a Ginevra dopo l'incidente diplomatico di lunedì, con protagonista il presidente iraniano Ahmadinejad, che ne ha però irrimediabilmente segnato lo sviluppo.
    Infatti nella seconda giornata del vertice, il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon è intervenuto per stigmatizzare quanto accaduto lunedì. "E' molto disdicevole che la conferenza sia stata usata dal presidente iraniano a fini politici" ha detto Ban, che ha lasciato il vertice per visitare Malta.
    La conferenza ha avuto quindi il delicato compito di arrivare a una risoluzione finale soddisfacente, nonostante i delegati rimasti siano rimasti in pochi, anche la Repubblica Ceca ha deciso di lasciare definitivamente i lavori della Conferenza, mentre gli altri 22 Paesi dell'Unione europea che erano usciti in segno di protesta, si sono invece presentati regolarmente ai lavori di Ginevra. Mancano invece Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Italia, Germania, Polonia e Repubblica Ceca e Israele, assenti già in partenza.
    Presente il Vaticano che ha scelto di restare in aula anche durante il contestato intervento di Ahmadinejad. La spaccatura tra i 27 appare pertanto evidente, nonostante il momentaneo spirito unitario ritrovato ieri sull'onda d'urto delle parole di Ahmadinejad.
    In anticipo rispetto alla chiusura prevista, i delegati hanno quindi approvato per acclamazione un documento finale che accoglie tutte le istanze presentate e non fa riferimento al conflitto israelo-palestinese.
    Ma in Medio Oriente continua a tenere banco il discorso pronunciato dal presidente iraniano , con i gruppi ebraici che hanno etichettato l'intervento come scandaloso, paragonando Ahmadinejad a Hitler, e i paesi arabi che hanno manifestato preoccupazione per la situazione nei territori occupati da Israele.
    "Sarà una sconfitta per Ahmadinejad perchè ci sarà, entro stasera, l'approvazione del nuovo testo", ha detto il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner.
    Juliette de Rivero, esponente dell'Human Rights Watch, ha puntualizzato come sia importante per tutti i paesi concentrarsi sul vero tema della conferenza e non farsi portare fuori strada dagli appunti iraniani.
    "Nonostante lo spiacevole discorso del presidente iraniano, i governi mondiali possono ancora far avere una valenza importante a questo vertice e assegnare un mandato forte all'Onu per combattere il razzismo".

    21/04/09

    Parte male la conferenza sul razzismo

    L'esordio a Ginevra della conferenza dell'Onu sul razzismo e la xenofobia "Durban II" si è aperta subito con una grave polemica che, molto probabilmente, segnerà anche i prossimi giorni compromettendone i risultati. Che la conferenza fosse partita male si sapeva già da settimane, da quando cioè diverse nazioni, tra cui Francia e Germania, avevano annunciato l'intenzione di disertarla a causa di frasi anti-israeliane presenti nel manifesto e per i timori del ripetersi di manifestazioni antisemite come quelle avvenute nel 2001 alla prima conferenza di Durban.
    La conferenza si è aperta con le dichiarazioni del segretario generale dell'Onu ban-Ki-Moon che si è detto "deluso" per le numerose defezioni (anche l'Olanda, la Svezia, il Canada, l'Australia e la stessa Israele sono mancate all'appello) "Sono profondamente deluso. Rimpiango profondamente che alcuni abbiano scelto di farsi da parte. Spero che non duri a lungo".
    Il numero uno delle Nazioni Unite ha insistito anche sul fatto che tutte le forme di razzismo, incluse l’antisemitismo e l’islamofobia, vanno combattute e ha anche tentato di difendere la contestata dichiarazione finale della conferenza.
    L'incontro è stato però acceso dall'intervento del presidente iraniano Ahmadinejad, che pur senza mai nominare Israele si è espresso in maniera durissima nei confronti di Tel Aviv, condannando "l'istituzione di "un governo razzista in Medio Oriente" . "Dopo la fine della Seconda guerra mondiale gli alleati sono ricorsi all'aggressione militare per privare della terra un'intera nazione, sotto il pretesto della sofferenza degli ebrei. Hanno inviato immigrati dall'Europa, dagli Stati Uniti e dal mondo dell'Olocausto per stabilire un governo razzista nella Palestina occupata".
    La frase ha provocato l'immediata reazione delle delegazioni occidentali, che hanno abbandonato polemicamente la sala, e il presidente francese Sarkozy ha chiesto all'Ue di "intervenire con estrema fermezza" al discorso di Ahmadinejad.
    Il presidente iraniano ha però raccolto anche applausi da parte dei delegati di alcune nazioni arabe e mediorientali quando ha denunciato il silenzio dell'Occidente nei confronti delle violenze commesse da Israele a Gaza. Applausi più generali sono arrivati anche quando ha parlato della necessità di rivedere le organizzazioni internazionali e dell'aggravarsi della crisi economica "scatenata dagli Usa".
    Verso il termine del discorso tre manifestanti travestiti da clown appartenenti all'Unione francese degli studenti ebrei sono stati espulsi dall'aula dopo aver iniziato a urlare "razzista" all'indirizzo del leader iraniano. Uno dei giovani che si trovava in platea è riuscito a lanciare il finto naso rosso di plastica all'indirizzo del presidente iraniano prima di essere trascinato via.
    Dura la risposta di Israele, che già nei giorni scorsi aveva criticato l'invito rivolto ad Ahmadinejad: il premier Netanyahu ha deciso di richiamare in patria "per consultazioni" l'ambasciatore israeliano in Svizzera.

    20/04/09

    USA - Una nuova era di rapporti con l'America Latina

    Il vertice delle Americhe tenutosi a Trinidad e Tobago ha fatto segnare un radicale punto di svolta nei rapporti tra gli USA e i paesi del Sud America, mai così tesi. Più ancora di quanto ci si aspettasse, le aperture di Obama - che ha riconosciuto gli errori compiuti dagli Stati Uniti nello sfruttare quello che consideravano "il giardino di casa" - hanno fatto breccia nei leader latinoamericani, chi più chi meno, e hanno indirettamente aperto la strada ad una riapertura del dialogo con Cuba, il convitato di pietra della riunione (è stata esclusa dal '62 dal vertice delle Americhe). Soddisfatto per il nuovo corso americano, il presidente venezuelano Hugo Chavez ha scherzato: "Per il prossimo vertice vi propongo una marachella: perché non lo facciamo a L'Avana?". E il premier canadese Stephen Harper ha detto di essere favorevole alla revoca dell'embargo americano contro Cuba, pur considerando il regime dell'Avana "una dittatura comunista".
    Momento clou e fuori programma del vertice è stato l'incontro tra Obama e Chavez, il presidente venezuelano finora capofila della fazione più avversa agli Usa, e che fino a poche settimane fa non aveva risparmiato critiche allo stesso Obama.
    I due si sono invece incontrati e stretti calorosamente la mano come vecchi amici. E' stato proprio Chavez a dire a Obama di voler essere suo amico, e immediatamente lo staff del presidente venezuelano ha diffuso l'immagine dell'incontro, che ha poi fatto il giro del mondo. Nell'incontro c'è stata anche una piccola gaffe: Chavez ha regalato a Obama il libro "Le vene aperte dell'America Latina", un saggio dello scrittore uruguayano Eduardo Galeano molto critico sullo sfruttamento statunitense delle risorse sudamericane. Il fatto che Obama abbia accettato il regalo ha suscitato le critiche della destra statunitense, secondo cui un tale dono rappresenterebbe un insulto. Obama inizialmente ha creduto che il saggio fosse stato scritto dallo stesso Chavez, e perciò ha contraccambiato regalando al venezuelano uno dei suoi libri.
    Dopo il vertice - e l'incontro di Chavez con la Clinton - il governo di Caracas ha dichiarato di volersi adoperare per ripristinare al più presto le relazioni diplomatiche con gli Usa, interrotte dallo scorso settembre. L'ambasciatore venezuelano tornerà presto a Washington, e sembra che anche gli Usa faranno tornare il loro rappresentante in Venezuela.
    Più critico il presidente boliviano Evo Morales, che ha detto "Se Obama mantiene la parola data, va bene", ma si è anche lamentato perchè finora nel suo paese non si e' notato alcun cambio nell'atteggiamento di Washington.

    17/04/09

    USA - Nel Tax Day le prime proteste contro Obama

    Il "Tax Day", il giorno in cui i cittadini americani devono presentare la dichiarazione dei redditi e pagare le tasse al governo federale, quest'anno assume dei connotati diversi, anche perchè per la prima volta dopo gli anni dell'amministrazione Bush le imposte sono tornate a crescere, e la tendenza dovrebbe rimanere tale anche nei prossimi anni.
    Lo "stimolo" economico ideato dall'amministrazione Obama si compone infatti, tra le altre cose, anche di un aumento imponente della spesa pubblica, coperto in parte da un aumento delle tasse. Come promesso in campagna elettorale, Obama ha iniziato ad abolire i tagli fiscali decisi da Bush per i redditi più alti, che quindi da quest'anno si troveranno con un aumento delle imposte molto sentito.
    L'occasione è stata ghiotta per i Repubblicani e per gli oppositori di Obama, che in molti Stati hanno organizzato proteste più o meno estese contro la politica fiscale del presidente. Le proteste più clamorose si sono tenute a Washington e in Texas. Nella capitale si sono radunati migliaia di manifestanti attorno alla Casa Bianca, vestiti con abiti della rivoluzione anticoloniale, aderendo alle proteste del "tea party", organizzazioni spontanee e apolitiche che si impegnano a fronteggiare le richieste dell'erario rifacendosi al "Boston tea party", la protesta contro le tasse degli inglesi che diede il via alla Rivoluzione nel 1773.
    In Texas la protesta ha avuto invece connotati più marcatamente politici, ed è stata infatti guidata dal Governatore dello Stato, Rick Perry, Repubblicano conservatore ed erede di George Bush non solo alla guida del Texas ma anche nelle posizioni politiche. Al grido di "Don't mess with Texas", Perry ha accusato la politica di Obama di "strangolare" l'economia dello Stato, e arrivando persino a minacciare la secessione. Non è certo la prima volta che il Texas minaccia di staccarsi dall'Unione, si tratta di una protesta che torna ciclicamente soprattutto quando a Washington non c'è un presidente Repubblicano, e principalmente per motivi fiscali. Questa volta però la protesta non è come le altre, proprio per il fatto che alle spalle non c'è solo un malcontento popolare ma anche un preciso disegno politico.
    In realtà la questione delle tasse è solo un pretesto (il federalismo fiscale risolverebbe il problema): la paura di molti Stati è che Obama voglia adottare un controllo più stringente negli affari delle amministrazioni locali, che invece vogliono mantenere la loro indipendenza dal governo centrale, che anzi vorrebbero ancora più "light".
    E intanto, anche se è presto per trarre conclusioni, il piano economico di Obama inizia a dare i primi frutti. Per la prima volta da mesi, il numero di nuovi disoccupati ha iniziato a calare la scorsa settimana, e il leader della Federal Reserve Benanke ha affermato che il momento peggiore della crisi è passato. E l'indice di approvazione di Obama resta sempre molto alto, al 62%, poco meno di quello con cui aveva iniziato il suo mandato, e addirittura il 53% degli americani accetterebbe un maggiore peso del governo centrale.

    16/04/09

    La prima vittoria militare di Obama

    Grazie ad un'operazione militare dei Marines Usa autorizzata dal presidente Obama, Richard Phillips, il capitano di un mercantile americano da cinque giorni ostaggio dei pirati somali nel Golfo di Aden, è stato liberato. Tre dei pirati che tenevano in ostaggio Phillips su una scialuppa di salvataggio dopo il fallito assalto di mercoledì mattina alla sua nave, l’Alabama, sono stati uccisi e un quarto è stato catturato.
    L'operazione è stata salutata con grande enfasi dalla stampa Usa, che parla della prima vittoria militare dell'amministrazione Obama. Scrive il "Washington Post".

    "Era uno dei primi test per il nuovo presidente - una piccola operazione militare a largo della costa di un paese del Terzo Mondo. Ma come scoprì Bill Clinton nell'ottobre del 1993, anche i piccoli fallimenti possono avere conseguenze durature.
    I tentativi di Clinton di far approdare un piccolo contingente di soldati ad Haiti furono respinti, davanti agli occhi di tutto il mondo, da poche centinaia di haitiani armati fino ai denti. Quando la corazzata USS Harlan County si ritirò, lo stesso fece la reputazione del presidente.
    Per Obama, la crisi della scorsa settimana con i pirati somali rappresentava un rischio politico analogo, per un giovane comandante in capo che deve ancora provare le proprie capacità ai suoi generali e all'opinione pubblica.
    Ma il risultato - un drammatico e riuscito salvataggio ad opera delle Forze Speciali - ha portato ad Obama una prima vittoria che potrà aiutarlo a creare fiducia nelle sue capacità di guidare le operazioni militari all'estero.
    Nei primi quattro giorni della crisi, la Casa Bianca ha sminuito il ruolo di Obama nella crisi degli ostaggi, e finchè la situazione non si è risolta, il presidente non ha rilasciato dichiarazioni pubbliche.
    In realtà, Obama dal suo ritorno dal viaggio in Europa, si è riunito per 17 volte in pochi giorni a proposito della crisi in Somalia, con diversi briefing nella Situation Room. E senza dare troppi dettagli, le fonti della Casa Bianca lasciano intendere che il presidente ha deciso in prima persona come intervenire.
    Uno dei militari di più alto grado, il viceammiraglio William Gortney, ha spiegato che Obama ha deciso di intervenire nel caso in cui la vita del capitano fosse in immediato pericolo -I nostri ordini arrivavano direttamente dal presidente- ha detto Gortney -e l'ordine principale diceva che saremmo dovuti intervenire se la vita del capitano fosse stata in pericolo. Ed è questa la situazione in cui i nostri marines sono intervenuti-."

    Certamente una risoluzione positiva di una crisi di 4 giorni non è probante quanto le altre situazioni di crisi che Obama deve e dovrà affrontare, ma sono comunque utili per la reputazione di un presidente che deve affrontare le perplessità di chi lo vede troppo antimilitarista. E d'altronde i suoi predecessori Democratici hanno subito una sorta di maledizione sotto questo punto di vista. Clinton, forse spaventato dalla battaglia di Mogadiscio in cui venne abbattuto un Black Hawk, optò per una soluzione di compromesso per Haiti, che si risolse in un fallimento enfatizzato dalla stampa conservatrice. E nel 1980 Jimmy Carter si trovò ad affrontare la crisi degli ostaggi in Iran autorizzando un'operazione di salvataggio che si concluse con l'abbattimento di due elicotteri e l'uccisione di otto militari, un incidente che gli costò la rielezione e la reputazione.

    15/04/09

    Thailandia - La sconfitta delle "camicie rosse"

    La lotta animata dai rivoltosi in maglietta rossa, seguaci dell'ex premier Thaksin Shinawatra si è conclusa con il ritiro dei manifestanti e una vittoria su tutta la linea dell'esercito regolare, che ha ristabilito la calma a Bangkok.
    Come spiegato anche nel post di ieri, le camicie rosse potevano contare su un consenso diffuso tra le fasce più povere del paese e sull'appoggio dei media controllati da Shinawatra, ma a parte questo non avevano nessuna forza o organizzazione tale da poter reggere una rivolta di diversi giorni, tanto è vero che tutti gli sforzi si sono concentrati nel tentativo di spingere alle dimissioni l'attuale premier Abhisit Vejjajiva solo con la minaccia di disordini. Il premier non ha ceduto alla piazza e anzi ha contrapposto ai manifestanti uno schieramento di forze militari tale da soverchiare in poco tempo i rivoltosi e da spegnere ogni focolaio di disordine.
    Ieri mattina, al termine di 48 ore da guerra civile nella capitale thailandese, gli stessi leader della rivolta hanno esortato le poche migliaia di attivisti rimasti a disperdersi, abbandonando l'accampamento intorno alla sede del governo presidiato dal 26 marzo.
    La battaglia più intensa si è verificata all'alba di lunedì presso un incrocio stradale occupato dai "rossi", armati di bombe molotov e bastoni: le truppe hanno sparato lacrimogeni e proiettili veri in aria, e gli scontri hanno causato 70 feriti. Gruppi di dimostranti hanno continuato a erigere barricate mentre i militari li costringevano a ritirarsi nelle aree popolari, dove i rivoltosi si sono trovati inaspettatamente attaccati anche dai civili, stanchi ed esasperati dalla violenza. In questi scontri sono morti due civili. Ancora è incerto il bilancio definitivo di questi giorni di rivolta. Dal suo esilio dorato di Dubai, l'ex premier Shinawatra ha accusato il governo di aver ucciso decine di attivisti, accusa negata dall'attuale premier, mentre per tutta risposta un tribunale ha emesso un mandato di arresto contro Thaksin Shinawatra, accusato di aver incitato alla rivolta, e dodici collaboratori.
    Escludendo un dialogo con Shinawatra, il primo ministro Vejjajiva ha elogiato le forze di sicurezza per i "metodi soft" che hanno impedito danni maggiori. Sia Shinawatra che i leader del movimento popolare, che hanno motivato la decisione di ritirarsi con il "bisogno di salvaguardare le vite dei nostri sostenitori", annunciano però che la battaglia per far cadere l'esecutivo non è terminata.

    14/04/09

    Thailandia - La protesta diventa rivolta

    Era cominciata come una protesta di alcune centinaia di persone contro il vertice dell’Associazione delle nazioni del Sudest asiatico (Asean) a Pattaya, a 145 chilometri da Bangkok, ed era riuscita ad annullare il vertice e a far scappare i capi di stato asiatici in fretta e furia. In pochi giorni la protesta è però diventata una rivolta contro il governo guidato dal primo ministro Abhisit Vejjajiva, insediatosi poche settimane fa ma già inviso alle "Camicie rosse" he sostengono l’ex premier Thaksin Shinawatra.
    Per tutta risposta, il primo ministro ha reagito con il pugno di ferro. Le truppe thailandesi hanno sparato ripetutamente in aria nel centro di Bangkok, costringendo poi i manifestanti che a liberare un importante snodo del traffico, in una prima manifestazione di forza da quando è stata dichiarata l'emergenza.
    Le forze di sicurezza hanno arrestato numerose persone, tra cui Arismun Pongreungrong, un cantante molto popolare tra i rivoltosi che ritengono l’attuale primo ministro un usurpatore rivogliono al potere l’ex premier.
    Shinawatra, l'uomo più ricco del Paese ed ex premier in esilio volontario, era il magnate dei media ed è stato destituito da un colpo di stato nel 2006, oltre ad essere stato condannato a due anni di carcere dalla Corte suprema per aver violato la legge sul conflitto di interessi mentre era premier, fatto che lo ha spinto a lasciare il paese.
    Dal suo esilio volontario, Shinawatra ha però organizzato il suo rientro fomentando le proteste grazie all'influenza che ha ancora sui mezzi di comunicazione thailandesi, apparendo in collegamento con le piazze in cui nasceva la protesta e continuando ad inviare messaggi ai propri sostenitori anche in questi giorni di scontri.
    Shinawatra, politico populista inviso alla casa reale thailandese, è particolarmente amato dalle fasce più povere della popolazione e nelle zone rurali, anche per merito delle sue riforme che hanno instaurato nel paese un primo tentativo di stato sociale a favore delle classi più debole. Queste riforme hanno però spesso sconfinato in corruzione vera e propria, e Shinawatra, grazie alle sue immense ricchezze, ha finanziato in prima persona i contadini delle zone rurali pagando in pratica per i loro voti, e mascherando questo voto di scambio sotto forma di una rete di prestiti per aiutare le classi più povere e rimettere in moto l'economia.
    Per quanto l'ex premier possa godere di molte risorse, le sue "camicie rosse" non possono però permettersi di affrontare una protesta che duri ad oltranza, anzhe per la mancanza di armi e di appoggi nell'esercito.

    11/04/09

    Diario della settimana

    Thailandia: continuano le proteste davanti all'entrata dell'albergo dove questo fine settimana dovrebbe svolgersi unvertice dell’Associazione delle nazioni del Sudest asiatico(Asean) a Pattaya, una cittadina turistica 145 chilometri asudest di Bangkok. I manifestanti, circa 200 persone, hanno rotto il cordone di sicurezza della polizia, ma finora non ci sono stati scontri. I dimostranti, sostenitori dell'ex premier ThaksinShinawatra, minacciano di disturbare lo svolgimento del summit se il governo e il primo ministro Abhisit Vejjajivanon rassegnano le dimissioni. Il summit, che si apre oggi fino a domenica ed e' consacrato principalmente ad affrontare la crisi economica mondiale, riunisce i dirigenti di dieci Paesi asiatici dell'Asean, l'associazione dei Paesi del sud-est asiatico, oltre a quelli di Cina, Giappone, Corea del Sud, India Australia e Nuova Zelanda.

    Bolivia: il presidente boliviano Evo Morales ha iniziato uno sciopero della fame. Scopo della protesta è costringere il parlamento ad approvare una legge elettorale che istituisca delle quote in favore degli indigeni. Circa 900 dirigenti del partito e delle associazioni che appoggiano Morales hanno dichiarato di voler astenersi dal cibo per sostenere la protesta del presidente. Il congresso boliviano è riunito da più di trenta ore per approvare la legge, ma i parlamentari dell'opposizione hanno lasciato l'aula perché sostengono che il provvedimento favorisca la rielezione di Morales es ono contrari alle norme che istituiscono delle quote per i candidati indigeni.

    Perù: L'ex presidente peruviano Alberto Fujimori è stato condannato a 25 anni di prigione per omicidi, sequestri e gravi violazioni. Fujimori, 70 anni, è stato considerato il mandante delle stragi di Barrios Altos nel 1991 e dell'università La Cantuta nel 1993 dove furono uccise 25 persone. Inoltre è stato riconosciuto colpevole del sequestro di un imprenditore e di un giornalista. È la
    prima volta che un leader democraticamente eletto in America Latina viene processato nel suo paese per aver violato i diritti umani. La condanna è stata seguita da molte manifestazioni di soddisfazione, ma anche da una marcia a sostegno dell'ex presidente, tenutasi a Lima e guidata da Keiko Sofia, figlia di Fujimori e parlamentare molto popolare in Perù -la più votata del 2006. In molti ritengono che potrebbe usare la condanna del padre per attrarre simpatizzanti in vista delle elezioni presidenziali del 2011, che la vedono come una delle favorite.

    Moldova: Migliaia di persone hanno preso d'assalto il parlamento e le sedi di governo a Chisinau, la capitale della Moldova, per protestare contro i risultati delle elezioni di domenica 5 aprile, vinte dal Partito comunista. I manifestanti accusano il partito, già al potere, di brogli elettorali. La polizia, che nelle ultime ore ha ripreso il controllo dei palazzi del governo, ha arrestato 193 persone per atti vandalici e saccheggio. Il presidente moldavo Vladimir Voronin ha poi sostenuto di avere le prove "inconfutabili" del coinvolgimento della Romania nei disordini, ha annunciato l'introduzione dei visti per l'ingresso dalla Romania e dichiarato che l'ambasciatore romeno è “persona non grata” in Moldova.

    Georgia: centomila persone sono scese in piazza in Georgia per chiedere le dimissioni del presidente Saakashvili, che però ha annunciato di voler rimanere fino alla fine del suo mandato, ovvero fino al 2013. Saakashvili è accusato di aver tradito gli ideali democratici e patriottici della rivoluzione del 2003, di aver instaurato un regime autoritario e corrotto, di aver truccato le ultime elezioni e soprattutto di avere fallito nell'obiettivo di riunificare la nazione, trascinando il Paese in una disastrosa guerra e perdendo definitivamente le regioni separatiste di Ossezia del Sud e Abkhazia.

    10/04/09


    Questo blog è vicino alle vittime del terremoto in Abruzzo e aderisce alla giornata di lutto.
    Per chi volesse contribuire alla ricostruzione e ad aiutare la popolazione, ecco alcuni modi:

    Telecom Italia, Tim, Vodafone, Wind, 3 Italia, Fastweb e Coop Voce, in collaborazione con la Protezione Civile, hanno attivato il numero 48580 per la raccolta fondi a favore della popolazione dell’Abruzzo colpita dal terremoto. Chiamando con un telefono fisso (da rete Telecom Italia, Infostrada o Fastweb) si doneranno 2 euro, mandando un SMS con un telefono cellulare si donerà invece 1 euro al Dipartimento della Protezione Civile per il soccorso e l’assistenza.
    Il Dipartimento della Protezione Civile ha attivato tre conti correnti per le donazioni a favore della popolazione colpita dal terremoto.

    * CONTO CORRENTE
    IBAN IT72U0300205207000401124180
    Swift code BROMITR1708
    INTESTATO A: Protezione Civile Nazionale - Emergenza Terremoto L’Aquila
    UNICREDIT BANCA DI ROMA - Agenzia Roma Cavour B

    * CONTO CORRENTE
    IBAN IT23X0306905039100000000140
    Swift code BCITITMM
    INTESTATO A: Protezione Civile Nazionale - Emergenza Terremoto L’Aquila
    INTESA SAN PAOLO - Filiale di Roma 06787

    * CONTO CORRENTE POSTALE NUMERO 95863023
    (IBAN IT-63-X-07601-03200-000095863023)
    INTESTATO A: Protezione Civile Nazionale - Emergenza Terremoto L’Aquila

    Questi invece i c/c per donare alla Croce Rossa

    C/C BANCARIO n° 218020 presso: Banca Nazionale del Lavoro-Filiale di Roma Bissolati
    Tesoreria - Via San Nicola da Tolentino 67 – Roma
    intestato a Croce Rossa Italiana Via Toscana, 12 - 00187 Roma.
    Coordinate bancarie (codice IBAN) relative sono:
    IT66C0100503382000000218020
    Swift Code - BNLIITRR
    Causale: PRO TERREMOTO ABRUZZO

    CCP n. 300004 intestato a: "Croce Rossa Italiana, via Toscana 12 - 00187 Roma
    c/c postale n° 300004
    Codice IBAN: IT24X0760103200000000300004
    Causale: PRO TERREMOTO ABRUZZO

    È anche possibile effettuare dei versamenti online attraverso il sito web della CRI all' indirizzo:
    www.cri.it/donazioni

    09/04/09

    Iran - Incriminata giornalista americana

    I rapporti tra Iran e Stati Uniti, che sembravano sulla via della distensione, vengono messi nuovamente a dura prova da una vicenda che corre pericolosamente sul filo dell'incidente diplomatico.
    Una giornalista irano-americana, detenuta in Iran, è stata formalmente accusata di spionaggio, secondo un'agenzia iraniana. Roxana Saberi, una 31enne nata negli Stati Uniti da padre iraniano e madre giapponese e collaboratrice della Bbc, della National Public Radio e di altri media, è stata arrestata a gennaio perchè secondo le autorità iraniane lavorava "illegalmente" nel Paese ed ha continuato le sue attività anche dopo che il governo le aveva ritirato il tesserino giornalistico.
    E' stato il viceprocuratore della Corte rivoluzionaria di Teheran Hassan Haddad ad annunciare l'incriminazione, per un reato che nella Repubblica islamica può comportare la condanna a morte.
    Il governo iraniano ha negato che la Saberi sia una cittadina americana: Haddad ha affermato che "si tratta di una cittadina iraniana e non esistono prove che sia in possesso di un'altra cittadinanza". "Comunque - ha aggiunto il viceprocuratore - anche se avesse un'altra cittadinanza, ciò non avrebbe alcuna influenza sul procedimento giudiziario". "Stava conducendo attività di spionaggio spacciandosi per giornalista e ha accettato le accuse", ha detto Haddad, secondo quanto riferisce l'agenzia Isna. Il governo iraniano ha quindi ritirato il tesserino alla Saberi per poi accusarla di svolgere clandestinamente l'attività giornalistica accomunandola allo spionaggio.
    Il giudice incaricato del caso ha detto alla tv di Stato: "Il giornalismo per questa accusata... era una copertura per raccogliere informazioni e notizie di intelligence e trasferirle ai servizi segreti americani". La tv ha peraltro dato solo il cognome del giudice, Heydarifard. Il processo inizierà la settimana prossima.
    Preoccupate le reazioni dagli Usa, che hanno interrotto i rapporti con Teheran circa 30 anni fa, subito dopo la rivoluzione islamica del 1979. A Washington, il segretario di Stato Hillary Clinton ha espresso forte preoccupazione per la notizia e ha chiesto l'immediato rilascio della reporter.
    ''Siamo profondamente preoccupati per le notizie che abbiamo appreso'', ha affermato l'ex first lady durante una riunione diplomatica a Washington, aggiungendo che gli Stati Uniti hanno chiesto al governo svizzero di raccogliere qualche altra informazione considerata l'assenza di un'ambasciata americana a Teheran. ''Continuerò, così come farà il resto del Dipartimento di Stato, a seguire il caso molto da vicino e chiediamo che venga rilasciata e possa tornare dalla sua famiglia presto'', ha aggiunto.
    Intanto le autorità iraniane hanno consentito ai genitori della Saberi di vedere la ragazza, detenuta da gennaio nel carcere di Evin. L'avvocato Khorramshahi ha detto, più tardi, che la donna è in buona salute, fisica e psicologica. Evin è la prigione dove i gruppi a favore dei diritti umani sostengono che l'Iran porti i suoi prigionieri politici.

    07/04/09

    Cosa ha deciso il vertice Nato

    Assediati dai manifestanti, come già al G20 di Londra, i leader europei hanno accettato il piano di Obama per l'Afghanistan, ma di fatto il loro appoggio si è concretizzato nella promessa di inviare un numero ridotto di nuove truppe su base temporanea e con il compito di mantenere la sicurezza.
    Di fronte ad un uditorio preoccupato soprattutto di trovare una strategia d'uscita, Obama ha adottato il tono più esplicito mai visto finora, enfatizzando l'importanza di combattere Al Qaeda ("Non è che i terroristi smetteranno di farci la guerra perchè non c'è più Bush" ha detto) e mettendo in chiaro che, in questo momento, è proprio l'Europa a correre il maggior rischio di attentati da parte dei fondamentalisti islamici.
    "Dobbiamo fare tutto il possibile per promuovere e incoraggiare lo sviluppo di leggi, educazione di donne e ragazze, diritti uman, economia ed infrastrutture in Afghanistan. Ma voglio anche che sia chiaro che la prima ragione per cui siamo lì è per sradicare Al Qaeda, così che non possa attaccare gli stati membri dell'alleanza".
    Obama ha poi risposto alle domande dei giornalisti sulla recente approvazione di una legge, in Afghanistan, che secondo l'Onu equivale a legalizzare lo stupro all'interno del matrimonio "Penso che sia una legge aberrante, e certamente le opinioni della mia amministrazione saranno fatte presente al presidente Karzai. Ma il nostro obiettivo è sconfiggere Al Qaeda".
    Ma se da un lato la nuova linea politica di Obama - il ritiro dall'Iraq e lo spostamento del focus sull'Afghanistan - ha ricevuto elogi da tutta la Nato, la risposta in termini pratici non è stata entusiastica. Come atteso, l'Europa ha deciso di inviare 5.000 nuovi soldati, ma 3.000 di essi saranno distaccati solo temporaneamente per fare da servizio di sicurezza durante le elezioni. I restanti avranno invece compiti di istruire le nuove forze armate afghane. Solo gli Usa entro la fine dell'anno invieranno invece circa 30.000 soldati in più. Dal canto loro, i leader europei, alle prese con la crisi economica e con la necessità di rispettare i vincoli di bilancio in termini di deficit, hanno detto chiaramente di voler cominciare a parlare di una "exit strategy".
    Un altro punto di attrito tra Usa e Ue è rappresentato dalla Turchia. L'unico paese a maggioranza islamica della Nato non esce benissimo viene visto dall'amministrazione statunitense come stato chiave nel dialogo con il mondo musulmano, e per questo Obama ha detto esplicitamente che vedrebbe con favore l'ingresso di Ankara nell'Unione Europea. La risposta immediata è arrivata da parte di Sarkozy, che pur avendo mostrato nel corso del vertice grande sintonia con il presidente americano, lo ha gentilmente invitato a non intromettersi negli affari europei ricordando che la maggioranza dei membri dell'Unione non vede con favore l'ingresso della Turchia. E d'altronde la nomina a capo della Nato del premier danese Rasmussen, inviso ad Ankara per le sue posizioni contro l'ingresso turco nell'Unione e per il comportamento tenuto nel 2005 durante la crisi per le vignette su Maometto, fa capire che per la Turchia la strada per essere accettata in Europa è ancora molto lunga.

    Fonte: New York Times

    06/04/09

    La Corea del Nord lancia il razzo


    Tanto tuonò che piovve. Dopo tanti annunci, la Corea del Nord ha infine lanciato il missile in direzione del Giappone, razzo che secondo l'Occidente e la stessa Tokyo è una minaccia alla sicurezza dell'area, mentre per Pyongyang è un innocuo satellite per le telecomunicazioni.
    Le divergenze di opinione riguardano anche l'esito del lancio. Il razzo è infatti caduto in mare ben lontano dalle coste giapponesi, ed il lancio è quindi fallito "Sulla base delle informazioni a nostra disposizione, il primo e il secondo modulo del vettore sono finiti nell'oceano, e niente risulta essere stato nesso in orbita", ha detto il ministro della Difesa sudcoreano, Lee Sang Hee. Stessa cosa secondo la Difesa giapponese per cui il missile-satellite sarebbe finito nell'oceano dopo 13 minuti di volo. Il Comando Difesa Aerospaziale per l'America ha laconicamente dichiarato: "Non ci risulta alcun satellite entrato in orbita".
    Di parere diverso la propaganda del regime nord coreano, secondo cui il lancio "e' stato un successo" e "le melodie immortali delle rivoluzionarie canzoni trionfali".
    Durissima la reazione di Barack Obama - che si trova ad affrontare la sua prima crisi internazionale - secondo cui la Corea del Nord "ha violato le regole" e il lancio è "una minaccia contro la regione nordasiatica e contro la pace e la sicurezza internazionale". E ha aggiunto: "Con questo atto provocatorio, la Corea del Nord ha ignorato i suoi obblighi internazionali, ha rifiutato gli appelli alla calma e si e' isolata ancora di piu' dalla comunita' internazionale". Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha detto che l'azione nordcoreana "non contribuisce alla pace e alla stabilita' nella regione".
    La Cina, alleata della Corea del Nord, non ha finora chiarito quale posizione intenda prendere nel Consiglio di sicurezza dell' Onu, quando si discutera' di eventuali nuove sanzioni contro Pyongyang.
    La Russia ha invitato la Corea del Nord alla "moderazione" e fa sapere di "stare verificando se si tratti di una violazione della rilevante risoluzione dell'Onu".
    Intanto Usa e Giappone hanno spinto per ottenere una convocazione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell'Onu già ieri sera.

    04/04/09

    Diario della settimana

    Israele: subito dopo le poco concilianti dichiarazioni sui rapporti con la Palestina e il mancato rispetto dei patti di Annapolis, il neo-ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman se l'è dovuta vedere non solo con le polemiche politiche, ma anche con la magistratura, sebbene per tutt'altra storia. Lieberman è stato infatti interrogato per sette ore e mezza dalla polizia. Il 'falco' del governo Netanyahu e' sospettato di corruzione e riciclaggio di denaro sporco. "Avigdor Lieberman e' stato interrogato oggi a titolo cautelare dalla polizia per sette ore e mezza", ha affermato il portavoce della polizia, Micky Rosenfeld, "poiche' sospettato dei seguenti reati: corruzione, riciclaggio di denaro sporco e abuso di fiducia" che ri­guarda lui, suo figlio e il suo legale: in ballo ci sono grandi som­me di denaro, perché con una se­rie di finte società si sarebbero fatti pagare dall’estero, illegal­mente, la campagna elettorale. Era un interrogatorio già fissato ma rimandato per via della campagna elettorale, fanno sapere gli inquirenti.

    USA: il "Washington Post" parte all'attacco del Segretario al Tesoro Geithner, che ha ripetutamente accusato della crisi economica i mancati controlli dei mesi scorsi e ha persino minacciato di licenziare alcuni top manager delle banche. Ma il quotidiano di Washington ricorda che, prima di diventare Segretario al Tesoro, Geithner era incaricato proprio di supervisionare il sistema bancario statunitense, e avanza il sospetto che sia tuttora troppo vicino agli ambienti di Wall Street, citando frequenti incontri con i dirigenti della Citigroup.

    Corea del Nord: prevsto per oggi il lancio del missile-satellite se le condizioni meteo lo permetteranno. Nella base di Musudanri sarebbe cominciato il caricamento dei serbatoi del missile-satellite, che per USA, Sud Corea e Giappone è un missile balistico a lunga gittata in grado di trasportare una testata nucleare, mentre per Pyongyang è solo un satellite sperimentale per le telecomunicazioni. La Corea del Sud ha promesso ''una forte e severa'' risposta in caso si verificasse il lancio. La Casa Bianca ha definito oggi ''una azione provocatoria'' l'imminente lancio del missile e ''una violazione delle risoluzione delle Nazioni Unite''. "Non abbiamo smesso di fare appello alla Corea del Nord, e lo ribadiamo oggi, di non lanciare questo missile" ha detto l'emissario americano Bosworth.

    Francia: con un gesto simbolico, il presidente francese Sarkozy nell'incontro con Obama ha detto che la Francia è disposta a farsi carico di alcuni prigionieri di Guantanamo se questo aiutasse a facilitare la rapida chiusura del centro di detenzione.
    Sarkozy ha affermato che centri come quello di Guantanamo non sono coerenti con i valori statunitensi, e che tutti gli stati democratici hanno la responsabilità di adottare comportamenti in linea con i propri principi.

    Filippine: sono vivi e stanno bene, ma sono ancora nelle mani dei rapitori, Eugenio Vagni e Andreas Notter, i volontari della Croce rossa internazionale sequestrati nelle Filippine: a raccontarlo è un terzo ostaggio, Mary Jean Lacaba, che è stata invece liberata ieri. Per la filippina di 37 anni la prigionia è durata 77 giorni e dopo l'ultimatum con il quale i sequestratori del gruppo islamico legato ad Abu Sayyaf minacciavano di decapitare uno degli ostaggi se l'Esercito non si fosse ritirato da 14 villaggi della provincia di Sulu, la situazione sembrava disperata. Poi è arrivata la notizia della liberazione, senza la richiesta né il pagamento di alcun riscatto, come hanno riferito le autorità di Manila.

    03/04/09

    I G20 trovano un accordo, in arrivo 1.000 miliardi

    I leader dei 20 paesi più ricchi del mondo hanno trovato un accordo a Londra per garantire 1.100 miliardi di dollari al Fondo Monetario Internazionale e altre istituzioni internazionali, come ha annunciato Gordon Brown. Alla cifra di 1.100 miliardi, 1,1 trilione di dollari, si arriverà grazie a prestiti e garanzie ai paesi bisognosi.
    L'accordo prevede che entro il 2010 i miliardi a sostegno della ripresa economica saranno 5.000. Le risorse del Fmi saranno fino a 750 miliardi, di cui 500 in nuovi fondi. Gli Usa si aspettavano un impegno maggiore da parte dei singoli stati, visto che i soldi promessi finora, pur rappresentando uno stimolo importante, non vanno ancora ad incidere sull'economia reale. Obama aveva chiesto che, come fatto in Usa, anche i governi europei "aprissero i rubinetti" riversando quanti più fondi possibili sugli aiuti sociali, ma il deficit degli stati del vecchio continente lo ha impedito.
    Un altro punto su cui i grandi della Terra hanno trovato faticosamente un accordo, nonostante le divergenze emerse nei giorni scorsi, riguarda i cosiddetti paradisi fiscali. I G20 si erano trovati in disaccordo sulla linea da adottare contro i paesi che garantiscono rifugio ai capitali esteri e segreto bancario. Da una parte Francia, Germania e Italia decisi a seguire la linea più dura, dall'altra Cina e Russia, favorevoli al segreto bancario. In mezzo, Usa e Gran Bretagna con il difficile compito di mediare fra le due posizioni, una mediazione che pareva impossibile dopo che il presidente francese Sarkozy aveva minacciato di andarsene già il primo giorno.
    Alla fine ha prevalso la linea dura, e Sarkozy è apparso il più soddisfatto di tutti, spendendosi in grandi lodi per il modo in cui Obama ha saputo fare pressioni sulla Cina. L'accordo prevede la pubblicazione da parte dell'Ocse di una lista nera dei paradisi fiscali, e sanzioni contro quei paesi che non forniscono le informazioni richieste, oltre all'irrigidimento dei vincoli amministrativi e il divieto per gli stati membri di depositare i loro fondi in questi paesi.
    Anche la Merkel si è dichiarata molto soddisfatta dell'accordo, sostenendo che si tratta di "un compromesso storico che darà al mondo un mercato finanziario dall'architettura chiara".
    Linea dura anche per i bonus ai manager e ai dirigenti dei colossi finanziari "Non ci saranno più bonus per chi provoca fallimenti" ha garantito Brown. "Ripuliremo le banche per rilanciare credito per le famiglie e le imprese".
    I leader si sono accordati per un nuovo G20 entro la fine del 2009, vertice che si terrà con tutta probabilità a New York a margine dell'Assemblea generale dell'ONU.

    Fonte: Associated Press

    02/04/09

    Israele - Lieberman sfida subito i palestinesi

    A poche ore dal voto di fiducia della Knesset con cui Netanyahu si è ufficialmente insediato come premier israeliano, il neo-ministro degli Esteri Avigdor Lieberman ha subito fatto capire che non ha alcuna intenzione di abbandonare le posizioni da "falco" che ha tenuto in campagna elettorale e che gli hanno portato così tanti voti.
    Il leader del partito ultra-nazionalista Ysrael Beitenu (Israele è la nostra casa) ha dichiarato "Gli accordi di Annapolis non contano. Il governo di Israele non ha mai ratificato Annapolis, né lo ha fatto il Parlamento" ha spiegato, aggiungendo che comunque il governo Netanyahu si impegnerà per cercare di rispettarli.
    La conferenza di pace di Annapolis , tenutasi nel Maryland nel novembre 2007, riunì i delegati di 40 paesi, inclusi Arabia Saudita e Siria. In quell'occasione l'allora primo ministro Ehud Olmert e il presidente dell' Autorità Palestinese, Mahmoud Abbass, si impegnarono a rilanciare il processo di pace, che idealmente si sarebbe dovuto concludere nel 2008 con la nascita dello stato palestinese. Anche se le cose non sono poi andate così, la nascita di uno stato separato, prevista già dalla Road Map firmata da Sharon e che ancora prima era uno dei fini ultimi degli accordi di Oslo tra Rabin e Arafat nel 1993.
    Lieberman, che subito dopo la nomina è stato invitato in Italia dal ministro Frattini, ha ribadito peraltro che Israele si ritiene vincolato solo alla Road Map, il piano di pace lanciato nel 2003 che prevede la creazione di uno stato palestinese, rimasto di fatto sulla carta.
    Dura la reazione dei palestinesi, che si sono immediatamente appellati agli Stati Uniti affinchè facciano pressioni sul governo israeliano. Lo stesso presidente dell'Anp Abu Mazen è scettico sulle volontà di pace di Netanyahu: "Benjamin Netanyahu non ha mai creduto nella soluzione dei due Stati o accettato gli accordi sottoscritti e non vuole fermare i nuovi insediamenti, questo è ovvio", ha spiegato, basandosi sulla prima esperienza da premier di Netanyahu, nel 1996.

    01/04/09

    Obama al debutto europeo

    Il G20 di Londra, oltre a ospitare le decisioni sulle soluzioni globali contro la crisi economica, avrà tutti gli occhi puntati addosso perchè segnerà la prima uscita europea di Barack Obama dopo il suo arrivo alla Casa Bianca.
    Come ricorderanno in molti, Obama si era reso protagonista di un tour europeo lo scorso mese di luglio, poco dopo aver vinto le primarie, un tour accolto con grande calore da leader e popolazioni di Inghilterra, Francia e Germania, ma la situazione era ben diversa. Oggi Obama è atteso non per presentarsi ma per fornire le sue soluzioni alla crisi, e per rivendicare la leadership statunitense, leadership che però dovrà segnare una netta rottura rispetto all'era Bush.
    Barack Obama e signora arriveranno a Londa oggi, accompagnati da circa 500 persone tra collaboratori, consiglieri e staff personali, oltre alle guardie del corpo. Nonostante la crisi economica, i giornalisti partiti da Washington per seguire il primo viaggio internazionale di Barack Obama sono il doppio di quelli che volavano con George W. Bush.
    L'agenda del presidente è particolarmente fitta: dopo il G20, partirà alla volta di un summit NATO tra Francia e Germania, prima di visitare la Repubblica Ceca, presidente di turno della Ue, e la Turchia. A margine del G20, Obama incontrerà anche i leader di Cina e Russia.
    Obama potrà contare sull'appoggio del premier inglese Brown, del presidente francese Sarkozy e del cancelliere tedesco Merkel, che hanno già detto di approvare le soluzioni proposte dal presidente Usa per la crisi economica, ma ciononostante non sarà facile convincere i partner europei ad aprire il portafoglio per rimettere in moto l'economia continentale e per aumentare l'impegno in Afghanistan.
    Molti analisti americani si sono dimostrati critici verso la quantità di impegni diplomatici presi da Obama in questo viaggio, sostenendo che sarebbe stato meglio concentrarsi per il momento su pochi incontri importanti piuttosto che incontrare ripetutamente gli stessi capi di stato nel giro di pochi giorni.
    Dal lato più mondano, c'è molta curiosità per il debutto estero di Michelle Obama, attesa da incontri con la Regina Elisabetta e con Carla Bruni Sarkozy. Ma più che i vestiti che sfoggerà, c'è interesse per il ruolo che la neo First Lady rivestirà, se cioè sarà una Laura Bush, dedita solo ad impegni di rappresentanza, o se sarà una nuova Hillary Clinton, impegnata ad appoggiare il marito politicamente, intervenendo attivamenti con incontri di carattere diplomatico.