Come ha sottolineato la stessa amministrazione sudanese, la visita di Kerry potrebbe segnare una nuova era nei rapporti tra Usa e Sudan, ai ferri corti dal 1997. Proprio nel momento in cui i rapporti di Khartoum con Washington, e in generale con i Paesi occidentali, sembravano al minimo storico, soprattutto dopo la decisione del Tribunale penale internazionale di spiccare un mandato di cattura per al-Bashir, un gesto simbolico che ha solo inasprito la contrapposizione.
Scrive Matteo Fagotto di "Peace reporter"
"Pur non avendo mai incontrato al Bashir, ma solo il suo vice, Ali Osman Taha, l'apertura di Kerry è significativa. Non solo perché dà credito ai recenti segnali di apertura lanciati dal governo sudanese e segna un deciso cambio di approccio rispetto alla precedente amministrazione Bush, ma perché sposa in parte, e non senza ragione, la tesi di Khartoum, secondo cui il conflitto in Darfur è anche responsabilità dei movimenti ribelli, frazionatisi in almeno 12 gruppi (dagli originari due) e riluttanti anche solo a sedersi al tavolo delle trattative. A uscire parzialmente sconfitti dalla visita di Kerry non sono solo i ribelli, ma anche la Cpi: la stretta agli aiuti data da Khartoum ha infatti costretto la comunità internazionale a tornare a negoziare con il Sudan, e un'eventuale pace in Darfur difficilmente non verrebbe ricompensata con lo stralcio della posizione di Bashir all'Aja. Anche perché, in caso contrario, Khartoum ha più volte fatto sapere che raggiungere la pace sarà impossibile. E' ancora presto per dire se il mandato della Cpi verrà ridotto a semplice merce di scambio nelle trattative. Ma ieri, a Khartoum, un passo verso questa direzione è sicuramente stato fatto."
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