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    12/03/09

    Cuba-USA: ora di voltare pagina?

    di Richard N. Haass (Newsweek)

    Ci sono segni che possa davvero arrivare un cambiamento a Cuba, 50 anni dopo la rivoluzione che portò Fidel Castro al potere. Con una mossa inaspettata Raul Castro, il fratello di Fidel, ha licenziato decine di alti ufficiali la scorsa settimana.
    Raul Castro ha fatto di più che creare speranze e aspettative nel suo primo anno da presidente, e ora potrebbe puntare ad andare oltre quelle piccole riforme finora introdotte.
    Quel che è certo è il bisogno di cambiamento a Cuba. Gli uragani dello scorso anno sono costati all'isola 10 miliardi di dollari, il 20% del suo Pil, mentre la crisi economica mondiale ha frenato il turismo. La popolazione sta diminuendo, in buona parte perchè le difficili condizioni economiche e la mancanza di case ha portato i cubani a fare meno figli.
    In America, molti conservatori sostengono che si debba mantenere inalterato l'embargo diplomatico ed economico verso Cuba. Ci sono pro e contro: se può sembrare vero che il regime nato dalla rivoluzione sia sul punto di esaurirsi e il cambiamento sia a portata di mano, dall'altro lato è anche vero che il governo ha saldamente in mano la situazione, il paese non è vicino al collasso e la popolazione, rassicurata nelle necessità basilari come l'accesso all'educazione e alla copertura sanitaria, non è inclinata a volere un cambiamento radicale nè avrebbe la forza per portarlo avanti.
    La politica di isolamento americana nei confronti di Cuba è fallita: L'Havana oggi ospiterebbe più missioni diplomatiche di ogni altro paese nella regione, ad eccezione del Brasile. Neanche l'embargo economico ha funzionato. O meglio, funziona ma per nazioni come il Canada, la Corea del Sud e dozzine di altri paesi che fanno fortuna fornendo a Cuba cibo e materiali per costruzioni. I membri del Congresso americano che lamentano l'esternalizzazione dei lavori in Usa dovrebbero considerare che l'embargo priva di occupazione migliaia di lavoratori americani.
    C'è un'altra ragione per dubitare che sia saggio continuare a isolare Cuba. Per quanto lentamente, il paese sta cambiando. La domanda è se gli Usa saranno in una posizione tale da influenzare la direzione e la velocità di questo cambiamento. Non vogliamo che Cuba fallisca, a rischio che l'attuale regime diventi più autoritario, o che l'isola cada in preda al mercato della droga, alla criminalità o a una crisi umanitaria che spinga migliaia di Cubani verso le coste statunitensi.
    50 di rivalità non possono essere messi da parte tanto facilmente, ma adesso è giunto il momento che Washington agisca. Le iniziative spettano al presidente Obama, che potrebbe, ad esempio, mantenere le promesse elettorali permettendo ai cubano-americani di spedire soldi ai parenti a Cuba e di visitarli regolarmente, attenuando anche le restrizioni ai viaggi per tutti gli altri.
    L'amministrazione Obama ha una grande opportunità di iniziare a modificare la propria politica prima o durante il summit dell'Americas, che si terrà ad aprile a Trinidad. Una nuova strategia non solo aumenterebbe l'influenza statunitense a Cuba, ma potrebbe essere il modo più potente con cui gli USA potranno prepararsi al confronto diplomatico con Russia, Cina, Corea del Nord, Siria e anche Iran.

    © 2009 Newsweek, Inc.

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